«Piango ancora Dalia. Non potevo credere che l'avessero uccisa»

Rimini

RAVENNA. Dicono che non esista nulla di più doloroso nella vita della perdita di un figlio. Giulio Saiani lo ha provato sulla sua pelle dieci anni fa quando, pochi mesi dopo la morte della moglie, due balordi uccisero la figlia Dalia e l’amica veronese Giorgia Busato mentre erano in vacanza a Capo Verde. «Ricordo ancora quando mi chiamarono per avvisarmi. Lo venni a sapere in piena notte. Non ero a casa ma la polizia riuscì comunque a contattarmi. Mi dissero che c’era un problema e che sarei dovuto andare in questura. Un’auto venne a prendermi e una volta in via Berlinguer mi fecero parlare con una persona del ministero a Roma che mi spiegò che Dalia era morta. Non capivo, non volevo crederci. Mi diedero un calmante e dovetti prendere atto della disgrazia. Mi fecero il passaporto a tempo record e partii subito per quell’isola».

L’isola è quella di Sal, meta prediletta dai surfer come Dalia, che stava pensando di trasferirsi e investire i propri risparmi. Quell’arcipelago battuto dal vento che la 30enne aveva scambiato per un eden si trasformò nell’inferno la sera dell’8 febbraio 2007 quando, convinte a uscire da due ragazzi del posto, lei e l’amica vennero massacrate a colpi di pietra e gettate in una buca all’oasi di Fontona. Un massacro da cui riuscì a salvarsi solo la 17enne Agnese Paci che fu creduta morta e trovò il modo di fuggire al buio dagli aguzzini. Giulio Saiani non mette piede a Capo Verde dal 2010, quando venne profanata la lapide che aveva fatto erigere in ricordo della figlia («quello sfregio mi ha tolto la voglia di tornare anche solo per ricordarla»). Quel posto per lui è un capitolo chiuso, l’unica cosa che ancora lo lega sono i contatti che ha mantenuto e che gli confermano che i due assassini stanno scontando la pena in carcere, unica consolazione dopo che per un certo periodo uno di loro fu addirittura rimesso in libertà per decorrenza dei termini. «Dopo quel gesto vandalico me ne sono andato. Mi chiesi che cosa stessi a fare lì, tanto più che di inviti a togliermi dai piedi ne avevo ricevuti parecchi». Per un po’ è tornato a Ravenna cercando di riappropriarsi di una quotidianità difficile da recuperare. «Devo ringraziare gli amici che mi sono stati vicini e la mia passione per il mare». Mare che ha solcato nuovamente per approdare dall’altra parte dell’Oceano, a Santo Domingo, dove ha ricominciato a vivere e dove quel destino avverso che gli aveva tolto tutto, all’improvviso ha deciso in parte di risarcirlo con una nuova famiglia e una nuova paternità sulla soglia delle 70 primavere. «Sono venuto un paio di volte su invito di alcuni conoscenti e ho avuto la fortuna di potermi rifare una vita, cosa che onestamente non pensavo fosse possibile. Certo, il ricordo resta; anche se il tempo cura molte cose, quando ripenso a Dalia mi deprimo. La vita però va avanti e la nascita di Giada due anni fa mi ha fatto ringiovanire. E’ stata una grande sorpresa, non che io e la mia compagna non l’avessimo cercata, ma pensavo che fosse difficile alla mia età. Invece è successo ed è stata una felicità incredibile. E l’anno scorso siamo tornati tutti a Ravenna in vacanza».

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