I periti entrano nella villa del delitto

Rimini

RAVENNA. Un poliziotto sposta dal cancello un fiore appassito. Una lettera fradicia di pioggia cade per terra. Lui la raccoglie, l’appoggia su un muretto e poi rompe i sigilli.

Sembra finito anche il tempo del lutto in via padre Genocchi, dove ieri sono tornati periti e consulenti. Tutti al lavoro dentro la villa del delitto per l’inizio dell’incidente probatorio che dovrebbe far definitivamente luce sull’orribile massacro della madre 39enne, uccisa a bastonate - secondo l’accusa - dal marito 51enne Matteo Cagnoni.

Le porte di quella casa grigia e buia si riaprono alle 11 in punto, alla presenza del pm Cristina D’Aniello, del procuratore capo Alessandro Mancini, dell’avvocato Giovanni Trombini (difensore di Matteo Cagnoni) e dell’avvocato Giovanni Scudellari che tutela invece i familiari della povera Giulia.

Con loro c’è anche la schiera di consulenti e periti nominati dalle parti e dal gip del tribunale di Ravenna. Il loro sarà un lavoro delicato e lungo.

La tensione, a due passi dai giardini pubblici, è palpabile. Quello che sta avvenendo dentro quelle mura di epoca fascista è infatti il primo atto di un processo per omicidio non ancora cominciato. A richiederlo è stata la procura, che vuole cristallizzare le prove trovate nella casa dalla Scientifica a pochi giorni dal delitto. Da un lato gli inquirenti vogliono evitare controversie in aula sulla validità scientifica di quanto riscontrato, da un lato vogliono evitare che il passare del tempo deteriori quelle tracce di sangue, di Dna e di materiale biologico sequestrato.

Il punto più delicato è quello legato alle impronte trovate in casa. La scientifica ha già due dati in mano: quelle impronte per la polizia sono di Cagnoni e sono state lasciate da una mano insanguinata. Di chi è quel sangue? Se fosse di Giulia - e i dubbi per l’accusa sono pochi - quella sarebbe la prova regina che potrebbe dire ergastolo. Ma una prova, per essere tale, ha bisogno di un contraddittorio. In questo caso tra consulenti. Gli “arbitri” - nominati dal gip - sono invece due periti che di processi del genere ne hanno fatti tanti: come il chimico forense Oscar Ghizzoni (ex ufficiale dei Ris) o il professor Carlo Prevederè, l’uomo che in primo grado ha “incastrato” Giuseppe Bossetti.

Ma i punti sui quali far chiarezza sono una decina.

Ci sono, come detto, quelle impronte lasciate da una mano insanguinata. Ma anche l’orma impressa sul sangue da una scarpa. In quel caso si dovrà stabilire se tratta delle Timberland (sequestrate) che Cagnoni aveva messo a lavare nella villa fiorentina. E poi ci sono i due cuscini che il medico porta dalla villa dell’orrore di Ravenna a Firenze. Cuscini sui quali sembra che ci siano tracce ematiche. Ma verrà analizzato anche uno zerbino della Mercedes usata da Cagnoni per arrivare con i figli da Ravenna a Firenze. Due le auto sotto sequestro: la Classe A del medico e la Classe C del padre Mario.

Una parte rilevante del lavoro investigativo è invece quella legata al Dna. Sotto le unghie di Giulia la Scientifica ha trovato del materiale da analizzare. E’ la pelle dell’assassino? Bisognerà comparare quei reperti con il Dna di Cagnoni a cui sono stati fatti prelievi di saliva. E poi c’è l’arma del delitto. Su quel bastone di 55 cm si sono tracce di Dna?

Tra il materiale sequestrato ci sono però anche una busta di Hera con tracce di sangue e una lima lunga una trentina di centimetri. Pare sia insanguinata. Forse potrebbe essere possibile trovare impronte almeno sul manico di legno. I primi responsi potrebbero arrivare prima di Natale.

Nei prossimi giorni verranno inoltre copiati anche i dati contenuti nei due computer sequestrati al dermatologo e quelli del cellulare di Giulia.

Il tutto in attesa che a “parlare” siano anche i tabulati richiesti sul cellulare di Matteo Cagnoni, andato perso - dice lui - per caso durante la fuga dalla sua villa di famiglia.

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