Omicidio, condannati a 26 e 23 anni

Rimini

RAVENNA. Ventisei anni per Artionil Binjakaj e ventitre per Andi Feneraj. Queste le condanne in primo grado per i due albanesi 26enni a processo di fronte alla Corte d’assise di Ravenna per l’omicidio di Kleant Sulkja, il loro connazionale ucciso a Castel Bolognese il 27 febbraio del 2012 a soli 24 anni con un colpo di pistola alla testa partito dalla 7,65 impugnata da Binjakaj.

La sentenza arrivata alle 20 di ieri sera, dopo 8 ore di camera di consiglio. A leggere il dispositivo è il presidente della giuria Milena Zavatti che esclude l’aggravante della premeditazione, e ritiene quella dei “motivi futili e abbietti” equivalente alle attenuanti. E così la parola ergastolo (richiesto dal pm Stefano Stargiotti per entrambi gli imputati) non risuona in un’aula carica di emozioni forti sin dal mattino, quando si erano tenute le repliche di accusa e difesa.

Solo le motivazioni della sentenza (che verranno depositate entro 90 giorni) chiariranno quale ricostruzione dei fatti è stata ritenuta più attendibile dalla corte. Appaiono però già evidenti almeno due aspetti. Il primo è che la mancanza di una premeditazione farebbe cadere l’ipotesi dell’agguato, così come paventato dalla procura. Di sicuro però - almeno stando al dispositivo letto ieri - l’omicidio Sulkja non fu nemmeno un tragico incidente; con un colpo partito per caso dalla pistola di Binjakaj. Una versione che i due imputati cercarono di rendere credibile all’inizio dell’inchiesta e del processo, salvo poi virare verso un più credibile caso di dolo eventuale (la forma di omicidio doloso considerata meno grave dal codice penale). L’incontro tra i due gruppi di albanesi fu dunque casuale. Ma nell’auto di Binjakaj e Feneraj c’era una pistola e l’improvvisa resa dei conti culminò con l’uccisione di Sulkja che, in realtà, era solo l’amico di tale Andi Laboti (recentemente arrestato per droga) e considerato il vero obiettivo degli imputati. Da punire per motivi considerati dalla corte appunto “futili e abbietti”. Aspetto, quest’ultimo, che sembra ricalcare in pieno la tesi della pubblica accusa, alla quale la difesa aveva più volte contestato il fatto che non fosse mai emerso un movente chiaro.

«E’ una sentenza ingiusta - dichiara a caldo l’avvocato Luca Donelli, difensore di entrambi gli imputati - che non rispecchia quanto emerso durante il processo».

«Prima di ogni valutazione - dice invece l’avvocato Pietro Chianese, difensore del solo Feneraj - aspetto di leggere le motivazioni. Poi guarderemo all’appello».

Parole misurate mentre da dentro la gabbia arrivano quelle del 26enne Binjakaj appena condannato a 26 anni di carcere: «Questa non è la verità - urla mentre viene portato via dagli agenti della penitenziaria - e voi sapete che io non volevo uccidere una persona che non conoscevo nemmeno». (c.d.)

 

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