«Daniela aveva già ucciso»

Rimini

RAVENNA. «Uccise Rosa Calderoni per alzare il livello di sfida e commettere quello che potrebbe definirsi un “omicidio difensivo”». La morte di quella povera donna, «davanti a un suo familiare e fuori dal suo turno le avrebbe infatti potuto consentire di dimostrare che i decessi sospetti erano solo un caso e che non c’entravano con lei. Perché la Poggiali non solo sapeva delle strane voci sul suo conto. Di più. Sapeva di avere già ucciso numerosi pazienti. Forse non ricordava neppure lei quanti».

Sono parole che mettono i brividi quelle che a pagina 112 il giudice Corrado Schiaretti mette nero su bianco per motivare la sentenza che l’11 marzo scorso ha condannato all’ergastolo l’ex infermiera dell’ospedale di Lugo. In quel breve passaggio - che arriva quasi alla fine di una lucida e argomentatissima ricostruzione dei fatti depositata ieri in tribunale - il presidente della Corte d’Assise trova infatti un movente diverso rispetto a quello della Procura. E sarà questo, sostanzialmente, l’unico passaggio che non sposa in pieno la tesi della pubblica accusa.

Per il pm Angela Scorza, infatti, l’infermiera aveva ucciso per una sorta di «compiacimento nell’ergersi ad arbitro della vita e della morte». Schiaretti pensa che queste motivazioni siano valide per tutte le altre morti (il giudice non sembra avere dubbi sul fatto che l’infermiera avesse ucciso ancora in passato), ma sull’omicidio dell’8 aprile del 2014, quello per il quale il processo è in corso, pensa che l’infermiera agisca in un contesto psicologico e criminale diverso: «La Poggiali ha dimostrato di essere fredda, intelligente - scrive Schiaretti - e ha capito di aver superato il limite nei giorni precedenti (quando erano morte improvvisamente 6 persone in soli 5 giorni ndr). Il programma criminoso della Poggiali era a ben vedere egregiamente congegnato». Nelle motivazioni della sentenza di dubbi ce ne sono pochi, di «ragionevoli» nessuno. E il teorema della Corte d’Assise è alla fine lo stesso della Procura. Si parte con la protagonista, Daniela, definita «decisa, spavalda, arrogante». «E’ dimostrata una sua impressionante continuità nel porre in essere comportamenti illegittimi». Non solo omicidi, ma anche furti e poi pazienti sedati o purgati. «Non sono voci - scrive il giudice - non c’è un occulto regista calunnioso. Chi l’accusa lo fa perché ha visto, non perché ha sentito». Poi le statistiche: «Da quando lei va via i furti spartiscono», «dove c’è lei si muore di più». E infine il punto cruciale. Quello che ruota attorno al potassio. Questa, dovendo inevitabilmente sintetizzare, la tesi della Corte: Non ci sono ipotesi scientificamente provate e accettabili che Rosa sia morta per altra causa e che i prelievi siano stati fatti male. Negli occhi della vittima c’era un concentrazione tale di potassio da provocare solo quel tipo di morte. E a uccidere può essere stata solo una persona con le competenze di Daniela. Daniela che prova a sviare le indagini cambiando l’ago della flebo e nascondendo i flaconi e scambiando anche la provetta del sangue prelevato. E sul “mistero” dell’iniezione letale Schiaretti la spiega così: «Come sia stata eseguita non si sa. Le ipotesi sono tre. Ma è irrilevante stabilire come, perché di certo è stata lei. E così come ricostruiti i fatti - conclude - non ci sono non solo ricostruzioni alternative ragionevoli, ma nemmeno ricostruzioni alternative poco probabili».

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