I parenti: «Riaprite il caso, vogliamo la verità»

Rimini

FERRARA. Aveva solo 20 anni Pier Paolo Minguzzi, quando venne sequestrato e ucciso barbaramente. A quasi 30 anni da quella tragedia i parenti del ragazzo - figlio di imprenditori benestanti di Alfonsine - tornano a chiedere giustizia insieme a un’agenzia di investigatori privati: «Mio fratello venne ucciso perché forse aveva visto qualcosa che non doveva sapere». Una storia tanto tragica quanto misteriosa quella di Paolo Minguzzi. Il giovane, nato il 26 agosto del 1966, viene rapito nella notte tra il lunedì di Pasquetta e il martedì del 1987. Pier Paolo è figlio di una benestante e stimata famiglia di imprenditori. A poche ore dal rapimento, avvenuto quella notte nella piazza di Alfonsine, da una cabina telefonica poi individuata a Lido delle Nazioni (nel Ferrarese) arriva la prima richiesta di riscatto: «300 milioni di lire e riavrete vostro figlio Pier Paolo». Ma non c’è nemmeno il tempo di cercare quella somma, perché il primo maggio il suo cadavere viene ritrovato da un gruppo di atleti di canottaggio che si stanno allenando nel Po di Volano, a Codigoro. Pier Paolo affiora dall’acqua straziato. L’autopsia parla di morte per asfissia meccanica, soffocamento. Ma c’è tanto, tanto di più attorno a questa storia. Una storia che, 9 anni dopo, nel 1996, la Procura di Ravenna decide di archiviare definitivamente. Quella di Pier Paolo Minguzzi è una storia che ricorda un puzzle con tessere che vanno tolte e rimesse. Perché tanti sono gli elementi “in ballo” verso la verità. Una verità che ieri - dagli uffici ferraresi della Securiteam (diretta dall’investigatore privato e consulente tecnico Davide Tuzzi), alla presenza dei suoi avvocati, Luca Canella e Paolo Cristofori - ha chiesto la sorella del povero Pier Paolo, Anna Maria. Pier Paolo aveva da poco iniziato il servizio di leva: come carabiniere ausiliario prima a Bosco Mesola poi a Mesola. È un ragazzo affidabile, tanto che gli vengono comandati - come spiega la sorella - «servizi di appostamento con la sua auto, una Golf rossa, servizi che con ogni probabilità - spiega anche l’investigatore privato - gli erano stati ordinati dai suoi superiori». Nel periodo dei fatti, però, Pier Paolo è riuscito ad ottenere una breve licenza. Così aveva deciso di trascorrere la Pasquetta al mare con la fidanzata e poi alla sera erano andati a Imola per giocare a bowling. Poi fanno rientro ad Alfonsine e Pier Paolo accompagna a casa la ragazza. Il dramma inizierà da lì a qualche minuto, quando Pier Paolo viene rapito. La sua Golf rossa viene ritrovata parcheggiata in piazza ad Alfonsine, ha ancora le chiavi nel cruscotto. La Procura di Ravenna inizia ad indagare. Le indagini sono svolte con scrupolo: si sbircia anche nella vita privata di Pier Paolo. Ma il ventenne non fa rinvenire nulla di particolare: «Era un ragazzo perbene - ci ha detto ancora la sorella Anna Maria - , niente droga, niente giri strani». Per 10 giorni si susseguono telefonate che rammentano alla famiglia il riscatto. Ma intanto dove si trova Pier Paolo? La famiglia chiede che i sequestratori facciano avere la prova che Pier Paolo è vivo: non arriverà mai. Allora si arriva anche a pensare che, nel corso di quel tragico martedì dopo la Pasqua, Pier Paolo sia già stato assassinato. Si pensa addirittura alla Mafia, ma la tecnica utilizzata, il famigerato incaprettamento, è fatto con corde nautiche anomale, e anomali sono gli stessi nodi. Ucciso a poche ore dal sequestro? E il movente, dove sta? Allora, come la sorella e l’investigatore, e come qualcuno tra i presenti azzarda, restano due vie, due possibili moventi: un sequestro con reale richiesta di riscatto, oppure un rapimento per uccidere Pier Paolo Minguzzi, che forse aveva visto (in un appostamento?) qualcosa che non avrebbe dovuto vedere? Dopo 30 anni questa domanda è ancora attuale.

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