«Chi ha sbagliato ora è giusto che paghi. Vogliamo la verità sulla morte di Nuccio»

Rimini

RAVENNA. «C’era chi doveva garantire la sicurezza e chi doveva mettere al riparo Nuccio da ogni rischio. Invece è andato al lavoro per non tornare mai più: la vita di una persona non può essere spezzata dalle mancanze altrui. Vogliamo la verità: chi ha avuto delle responsabilità paghi». A dieci giorni dalla morte, al polo chimico di Ravenna, del 43enne Nuccio Pizzardi, deceduto nell’esplosione avvenuta in uno degli impianti della Cfs, la famiglia rompe il silenzio e chiede giustizia. E rilancia: in memoria di Nuccio, la moglie Viviana e i fratelli Luigi e Simona sono pronti a fondare un’associazione che lavori per la promozione della sicurezza sul lavoro. «E’ inaccettabile - dicono - morire così». Nuccio Pizzardi, tubista specializzato, originario di Gela ma residente a Ravenna da oltre 20 anni, ha lasciato moglie e figlia adolescente, 13 anni non ancora compiuti. Lavorava per la Cam Impianti da una dozzina d’anni e per conto della ditta stava eseguendo alcuni lavori di manutenzione a una tubatura dell’impianto Cfs. «Quell’area sembra fosse oggetto di manutenzione da diverso tempo - si chiedono i familiari -: al momento dell’intervento dei tecnici sui tubi, i serbatoi vicini o collegati non dovevano essere vuoti e bonificati?». Invece la cisterna a cui era collegata la tubatura alla quale lavorava Nuccio pare fosse piena di ammoniaca, o di certo di qualche altro liquido: se anche questo abbia contribuito a caricare l’esplosione, è ancora presto per dirlo, ma di certo è uno dei temi sulla quale la Procura, che ha già aperto un fascicolo a carico di quattro persone per omicidio colposo, vuole vederci chiaro. «Nuccio - ribadiscono i familiari - non aveva il compito di garantire e predisporre la sicurezza in quell’area e di quelle apparecchiature: dovevano essere altri a farlo. In quell’area, c’è chi ha l’obbligo di mettere in sicurezza gli apparecchi, chi di verificare i rischi e coordinare i lavori, chi di esaminare le schede tecniche del serbatoio e di quello che c’è intorno all’intervento, chi doveva firmare il permesso di lavoro che garantisse la sicurezza di Nuccio. Quale passaggio è mancato? Cosa è andato storto? Nuccio, che era sempre disponibile e lavoratore infaticabile, non si sarebbe mai esposto a un simile pericolo, non avrebbe mai rischiato la vita se non fosse stato sufficientemente rassicurato sulla sicurezza dell’impianto». Inaccettabile, dicono, morire così. «Nuccio era attento, preciso, scrupoloso - come ha ribadito la sorella Simona al funerale -. E’ inaccettabile tutto questo: spezzare la sua vita per la mancanza di qualcuno: no e no, non si può accettare». Con l’aiuto che i lavoratori del polo chimico vorranno dare, dopo l’appello dei sindacati a donare un’ora del proprio lavoro alla famiglia di Nuccio, famigliari e amici sanno già cosa fare: «Si penserà al futuro della figlia 13enne, ma anche a ricordare il sacrificio del nostro amato - dicono -. Vogliamo fondare un’associazione: la chiameremo “Amici di Nuccio” e avrà il compito di sensibilizzare alla formazione continua sulla sicurezza sul lavoro, e di promuovere lo sport, passione di Nuccio trasmessa anche a sua figlia». Ma per amarezza e dolore, sarà difficile trovare una cura. «Ci hanno chiamato dall’ospedale e una volta arrivati abbiamo saputo di Nuccio. Nessuno è venuto ad offrirci aiuto, né amministratori né assistenti sociali: ma con i minuti di silenzio, si fa poco».

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