«Faremo luce sulle altre dieci morti sospette»

Rimini

RAVENNA. «Ci sono almeno altre dieci morti sospette avvenute all’ospedale di Lugo sulle quali andremo a fondo. Questo processo ci ha dato abbastanza elementi per proseguire un lavoro che non è ancora finito. Noi crediamo che in quell’ospedale gli omicidi compiuti dalla Poggiali siano stati tanti. Quanti? Non lo sappiamo. Sappiamo solo che su alcuni di questi ormai non possiamo più far nulla, ma su altri faremo tutto il possibile».

A poche ore dalla condanna all’ergastolo di Daniela Poggiali, il procuratore capo Alessandro Mancini è già tornato al lavoro al terzo piano di palazzo di Giustizia come se fosse un sabato qualsiasi. «Nulla da festeggiare, l’ergastolo è una pena che merita rispetto» aveva detto a caldo, poco dopo la sentenza più attesa. E così anche il “day after” è buono per l’ennesimo vertice di lavoro con il comandante del Reparto Operativo Antonio Sergi e il comandante provinciale dei carabinieri, il colonnello Massimo Cagnazzo.

«Ora vogliamo andare fino in fondo», taglia corto il procuratore capo. Sul suo tavolo restano ancora diversi fascicoli legati alla Poggiali: quello che porterà a processo l’ex primario del reparto di Medicina e la caposala (anche lei in pensione), quelli aperti per i casi di furto e peculato in corsia, ma soprattutto il fascicolo “bis” per altri dieci morti sospette.

Un’indagine che in questi mesi non si è mai fermata e che in Procura contano di chiudere entro l’estate.

«Non è logico pensare che il caso Calderoni sia stato il primo e l’unico. Crediamo che la Poggiali possa aver agito anche prima», spiega il procuratore. Un concetto chiaro, ribadito anche dalla perizia statistica che aveva stimato un aumento del 250% dei decessi quando in turno c’era la Poggiali. Tanto che i giudici del Riesame quando confermarono per lei il carcere arrivarono a definire quella situazione come una «sistematica opera di eliminazione di ricoverati. Una cronaca di una morte annunciata, o meglio, la cronaca di una delle morti annunciate».

Definizione che, secondo gli inquirenti, sarebbe particolarmente calzante per almeno due o tre casi. Tra cui quello della morte improvvisa dello zio del suo grande “rivale” in corsia, ovvero il coordinatore infermieristico che, nella passività generale di colleghe e superiori, ebbe la lucidità di “sequestrare” il deflussore sul quale vennero trovate poi le tracce di potassio che sono valse un ergastolo.

Ma c’è anche un altro caso che continua a inquietare chi in questi mesi ha seguito l’indagine. Ed è quello relativo all’ex datore di lavoro del fidanzato della Poggiali. Con lui (e la sua segretaria) nel giugno 2009 l’ex infermiera ebbe un durissimo scontro verbale legato a un certificato medico portato in ritardo al lavoro dal suo compagno in malattia, all’epoca operaio in una impresa del Lughese. «Un giorno ve la farò pagare», disse la Poggiali, minacciando la segretaria al termine della lite. Segretaria che, nel corso del processo appena concluso, è stata chiamata a ricostruire proprio quell’episodio.

Cinque anni dopo l’anziano imprenditore venne ricoverato a Lugo e proprio nel reparto dove lavorava la Poggiali. La mattina del 13 marzo del 2014 sarebbe dovuto essere dimesso, ma la sera precedente la Poggiali chiese a una collega di sostituirla. «Gliela faccio io la glicemia» disse. Poco dopo il signor Montanari morì. «Una cosa improvvisa» dissero ai familiari.

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