Spararono a un artigiano, in tre condannati a 20 anni

Rimini

RAVENNA. Le accuse contro di loro erano pesantissime: tentato omicidio ed estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. E altrettanto pesante è stato il verdetto.

Dopo quattro ore di camera di consiglio, il collegio penale presieduto da Milena Zavatti (a latere Beatrice Bernabei e Tommaso Paone) ha infatti condannato i presunti responsabili dell’agguato del luglio 2009 a Faenza ai danni di un artigiano ritenuto colpevole di non allinearsi agli ordini.

Ieri la sentenza: venti anni e un mese per Salvatore Randone, 58enne catanese residente a Imola ritenuto il mandante della spedizione (il sostituto procuratore Roberto Ceroni aveva invece chiesto quindici anni) e venti anni anche per Antonio Rivilli, ritenuto l’autore materiale dell’agguato, e Antonino Nicotra, uomo considerato vicino ad uno dei clan siciliani più in vista. Tutti e tre erano difesi dall’avvocato Carlo Benini.

Assolti invece gli altri imputati chiamati a rispondere di ricettazione e detenzione di armi, un coinvolgimento che per l’accusa sarebbe emerso dalle intercettazioni telefoniche nelle quali si faceva riferimento ad una ruspa oggetto di furto e appunto a delle armi da fuoco. Disposta inoltre una provvisionale di 60mila euro alle parti civili, assistite dall’avvocato Nicola Montefiori.

Stando all’accusa, i cinque colpi esplosi nel luglio di sei anni fa all’indirizzo di un artigiano siciliano residente a Faenza - due dei quali a segno - furono esplosi per uccidere. Sposando la ricostruzione del sostituto procuratore Ceroni, i giudici hanno ritenuto che l’agguato fosse finalizzato ad eliminare un imprenditore scomodo.

La vittima, infatti, pur essendo vicino in qualche modo a Randone e avendo preso parte ad alcune commesse nelle quali operava il presunto mandante, ad un certo punto avrebbe iniziato a muoversi in autonomia, assumendo iniziative personali senza rispettare le decisioni dei boss.

A mettere in guardia il 50enne era stato il fratello, che nel 2007 era stato avvicinato in Sicilia da alcune persone che gli avevano lanciato un messaggio chiaro. Il congiunto doveva allinearsi o farsi da parte onde evitare conseguenze spiacevoli. Lui registrò quel dialogo e salì in Romagna per avvertirlo. Due anni dopo, ci pensò qualcun altro, facendo parlare il piombo mentre l’uomo stava gettando la spazzatura.

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