Ecco l'identikit del killer

Rimini

RAVENNA. Capelli brizzolati, folti, tipo “criniera di leone”. Alto 1,70-1,80, età apparente tra i 40 e i 50 anni. Ammesso che nel frattempo non abbia cambiato look, cosa ritenuta probabile dagli stessi inquirenti, i tratti somatici descritti corrisponderebbero a quelli del presunto assassino di Mor Seye, il senegalese 46enne freddato il 12 settembre scorso a Casalborsetti.

Un omicidio senza precedenti per efferatezza e contesto, avvenuto in pieno giorno e in una spiaggia affollata per l’ultimo sabato di stampo estivo, su cui gli investigatori stanno lavorando senza sosta convinti, come sottolineato dal procuratore capo Alessandro Mancini, che «qualcuno sappia più di quanto finora raccontato».

Intanto, in attesa di dare un nome al responsabile, è stato dato un volto a chi ha premuto per sei volte il grilletto contro l’ambulante, uccidendolo alle spalle. A un mese e mezzo di distanza da quella che per le modalità seguite è parsa a tutti gli effetti un’esecuzione, la Procura ha diffuso l’identikit dell’omicida (nel frattempo rimasto circoscritto ai canali interni delle forze dell’ordine) con l’intento di raggiungere una platea più ampia di testimoni che possano riconoscerlo e fornire notizie utili ad orientare le indagini dei carabinieri.

Questo perché, come sottolineato dal comandante provinciale dell’Arma, il colonnello Massimo Cagnazzo, il raggio delle ricerche è ampio, «non limitato al solo ambito locale» ma esteso «in uno spazio geografico allargato su base nazionale». Si tratterebbe dunque di un delitto che potrebbe superare i confini territoriali. Chi ha sparato potrebbe non essere della zona pur avendo dimostrato di conoscerla molto bene, al pari delle abitudini della vittima; e allo stesso tempo, turisti e pendolari poi rientrati nei rispettivi paesi potrebbero aver notato dettagli chiave per risolvere il caso senza averne avuto la consapevolezza della loro rilevanza.

Considerazioni alla base della decisione di diffondere i tratti somatici dell’omicida nonostante siano passate diverse settimane dall’agguato. Questo lasso temporale è infatti servito a sentite decine di persone, a ricostruire più immagini dell’assassino via via sempre più affinate grazie anche al supporto degli uomini del Ris di Parma e di Roma, a vagliare diverse piste e a cercare riscontri tramite gli archivi dell’Arma, che hanno però dato esito negativo. Inoltre l’assenza di telecamere nella zona (ad eccezione di qualche webcam orientata però a fini meramente “turistici”), della pistola impiegata (cercata anche dalle unità cinofile non solo in spiaggia ma anche in fiumi e valli) e di indizi hanno costretto gli inquirenti a dare avvio ad un’indagine vecchio stile, muovendosi in un contesto sempre più difficile da circoscrivere tra omertà e scenari diversi.

Lo stesso identikit, ad esempio, è lo specchio di questa attività e ha richiesto più stesure perché ognuno dei sette testimoni oculari ha fornito una descrizione del killer e della modalità di fuga non sempre coincidente con le altre. «A qualcuno è parso avesse il pizzetto, ad altri un filo di barba appena accennato, alcune persone lo avrebbero visto allontanarsi a piedi, altri su un’auto che però non sono stati in grado di riconoscere» ha spiegato il comandante del Reparto operativo, il tenente colonnello Antonio Sergi.

E’ stato così necessario risentire più volte quanti avevano visto qualcosa per mettere in fila i punti fermi, che sono essenzialmente due: i capelli lunghi e tendenti al canuto. «La ricostruzione finale - ha rimarcato il procuratore capo, Alessandro Mancini - rappresenta la sintesi di una serie di identikit».

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