Essere giostrai ai tempi del 2.0 Un divertimento lungo un secolo

Rimini

LUGO. «Un giorno si presenta una signora di 83 anni, guarda la mia giostra e chiede un biglietto. Voleva fare un giro. Io resto un poco interdetto. Lei se ne accorge e mi dice: “Da ragazzina non me lo potevo permettere, ora voglio togliermi lo sfizio prima di morire”». Mentre racconta l’espressione beata di quell’anziana che gira su una giostrina per bambini, il lughese Theo Natali pare un generale dell’esercito che mostra la sua medaglia al valore. Sono queste le soddisfazioni di chi fa un mestiere in via d’estinzione: il giostraio, appunto. Uno dei pochi italiani rimasti a fare questa professione.

Theo ha 41 anni e non manca mai nelle fiere e nelle piazze delle città della Romagna in tempi di festa. In questi giorni, lo si può vedere all’ombra della Rocca di Lugo. «Mio nonno Luigi era un appassionato di astronomia - racconta -. Originario di Bologna, si metteva in piazza Maggiore a guardare le stelle con il suo telescopio. Incuriositi, i passanti spesso chiedevano di poter dare un’occhiata. Vendendo il successo che otteneva, cominciò a fare pagare un biglietto: quello fu l’inizio della nostra attività di famiglia. Era il 1914, quasi cento anni fa».

Pochi anni dopo nonno Luigi acquistò la sua prima vera giostra: si chiamava Siluro e consisteva in una serie di navicelle che giravano attorno a un perno centrale. L’incontro con quella che sarebbe diventata sua moglie, originaria di Lugo, lo porta a stare da queste parti.

A quell’epoca i giostrai erano considerati degli imprenditori, molto ricercati per animare i momenti di feste delle comunità. «Alla Fira di Sett Dulur di Russi la mia famiglia è presente da 92 anni. È stato mio nonno a portarvi uno dei primi autoscontri d’Italia nel 1933».

Il padre di Theo, Giuseppe, si è occupato dell’autoscontro fino al 1977, quando si è ammalato ed è morto all’età di 49 anni. «In quell’anno mio fratello maggiore, Luigi detto Gigi, ha acquistato una sala giochi mobile per continuare l’attività di famiglia insieme a mia madre. Così io ho sempre bazzicato in questo ambiente. E quando ho preso moglie, mi sono messo in proprio».

Insomma, l’esistenza della famiglia Natali gravita attorno al loro mestiere come le giostre ruotano intorno al perno centrale. «L’attività di giostrai coincide con la nostra vita. Forse perché lavoriamo nei periodi che per gli altri sono di festa».

Dal classico tiro al gettone ai videogame (era suo il celebre Game Center), Theo le sperimenta tutte. Nel 1989 acquista la giostra per bambini che costituisce tutt’ora la sua attività.

Oggi sono lontani i fasti di un tempo. La storia degli ultimi vent’anni è quella di un lento, progressivo, declino del mondo dei giostrai. «La diffusione dei videogame nelle case della gente e l’apertura di parchi divertimenti come Mirabilandia ci hanno penalizzato parecchio». E poi c’è la maledetta crisi economica, che rischia di dare il colpo di grazia a questo settore. Basti pensare che ormai il 70% delle ditte costruttrici di giostre ha chiuso i battenti. «Quest’anno, complice anche il brutto tempo, il mio giro d’affari è calato del 40%. Per contro, da quando è arrivato l’euro le spese sono cresciute del 35%», spiega Theo, che si ostina a stare alla larga dal mondo delle slot machine.

La famiglia Natali ha però intenzione di tenere duro. Tanto più che c’è una nuova generazione pronta a scendere in campo. «Mio figlio ha 18 anni, si chiama Kevin e ha detto di volere continuare l’attività di famiglia. Non so se esserne contento oppure no. Di questi tempi, le spese per i divertimenti sono le prime a essere tagliate. Però abbiamo la fortuna di fare un lavoro che amiamo: ci permette di stare a contatto con la gente e di portare avanti una lunga tradizione. Chi può dire altrettanto?».

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