Profugo violenta un'assistente in un appartamento per rifugiati

Rimini

RAVENNA. Violentata dal profugo ventenne al quale dava lezioni di italiano e che le aveva fatto vivere sei mesi di inferno tra minacce di morte, pedinamenti ed sms inquietanti, in una sola parola stalking.

Un episodio agghiacciante che sarebbe avvenuto nel giugno scorso in una degli appartamenti di via Caorle di Ravenna messi a disposizione agli immigrati che hanno fatto richiesta di asilo politico.

Il caso, finora mai emerso, è però approdato ieri in tribunale per l’udienza preliminare.

L’imputato - un afgano di 23 anni che nega tutto - è difeso dall’avvocato Maria Gandolfo e deve rispondere di violenza sessuale e stalking nei confronti di una donna di 20 anni più grande che aveva conosciuto nei primi mesi del 2014.

E’ stato in quel periodo che il ragazzo, arrivato in Italia da pochi mesi e in attesa di una risposta alla sua domanda di asilo politico, aveva cominciato a tempestare di messaggi la donna conosciuta in una struttura che accoglie immigrati. Richieste di appuntamenti che si erano fatti sempre più pressanti. Ma il giovane in alcune occasioni si era anche fatto trovare davanti all’abitazione della donna o aveva suonato il campanello prima di darsi alla fuga.

Dopo un paio di mesi la donna aveva accettato di vedere il ragazzo in un bar di Ravenna per chiedergli una volta per tutte di lasciarla in pace. Ma quel giorno il 23enne si era mostrato ancor più aggressivo e per nulla intenzionato a interrompere i suoi atteggiamenti, tanto da arrivare a minacciare di colpirla al volto. E quando la donna aveva prospettato l’idea di denunciarlo alla polizia, lui l’aveva ancora minacciata: «Chiama pure la polizia e digli che ti voglio ammazzare». Questa una delle tante frasi che compariranno nella denuncia della donna. Ma nel giugno successivo arriva l’episodio peggiore. Dopo ripetute minacce la donna accetta un appuntamento nella casa del ragazzo. Forse spera che un suo atteggiamento meno intransigente possa portarlo a essere meno aggressivo, ma si sbaglia. Una volta dentro la casa lui l’aggredisce, le tappa la bocca con la mano per evitare che possa chiedere aiuto e poi comincia la violenza. «Tu andrai nella tomba ed io in galera». Questa l’ultima frase che proferisce, facendole capire di essere intenzionato ad andare fino in fondo incurante di ogni conseguenza.

Ma quando la donna esce da quella casa trova la forza di raccontare tutto alla polizia. Ieri, tutelata dall’avvocato Francesco Manetti, si è costituita parte civile.

L’imputato afgano ha invece chiesto di essere processo con rito abbreviato e la prossima udienza è stata fissata per il prossimo 15 settembre, giorno in cui potrebbe arrivare anche la sentenza. (c.d.)

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