«Per la prima volta dopo un viaggio non vediamo l'ora di tornare al lavoro»

Rimini

RAVENNA. L’abbraccio ai figli, il bacio ai nipoti, la stretta di mano degli amici, le telefonate dei parenti, le pacche sulle spalle dei conoscenti. Spicchi di normalità che dopo l’attentato di mercoledì a Tunisi assumono un altro sapore. Come il ritorno al lavoro. «E’ la prima volta che mi capita di pensarlo al rientro da una vacanza - sorride Gabriele Capelli - ma stavolta davvero non vedo l’ora di tornare a lavorare». Come lui la pensano anche gli altri compagni di viaggio: «Mai stati contenti come questa volta di tornare a casa». Ma quanto avvenuto non ha fatto venire meno agli otto turisti ravennati scampati all’inferno la voglia di viaggiare. «Torneremo a farlo sicuramente, chi si ferma è perduto - commenta Oriana Serrandrei -. Magari prima di partire sceglieremo bene la meta».

Sbarcati a Genova di buon mattino al rientro da una crociera da sogno che l’attacco terroristico ha trasformato in un incubo, sono subito saliti in macchina. Un’unica tirata, senza soste. Troppa la voglia di mettersi alle spalle quanto accaduto.

Pochi minuti prima delle 12.30, l’arrivo in città da dove le quattro coppie erano partite una settimana fa. Appena la vettura di Enzo Minguzzi gira l’angolo, davanti a casa ad attenderli c’è la figlia Giulia che aspettava i genitori in strada.

La ragazza corre incontro alla madre Alessandra Gatti, la prima a scendere dall’abitacolo, e le due donne si stringono in un abbraccio carico di commozione. Si sfiorano il viso con gli occhi lucidi, esorcizzando lo spavento e la tensione senza nemmeno bisogno di parole. Un gesto che condensa una miriade di sentimenti. «Dai, stiamo bene», sussurra la donna alla figlia. Poi la ragazza raggiunge il padre, che sorride e la rincuora, mentre dal cortile i due cani di famiglia scodinzolano per la gioia. «Kim (un esemplare di springer spaniel, ndr) era come se si fosse reso conto di quello che era successo, che se lo sentisse - racconta Giulia -. Lo avevamo portato da mia nonna e, per non spaventarla, non le avevamo detto nulla di quanto successo. Ma mercoledì ha guaito per tutto il giorno».

Visibilmente provati dalla disavventura, tutti portano sul volto i segni della stanchezza. Sarà difficile dimenticare quanto accaduto, se non forse proprio rituffandosi nella quotidianità, in quegli affetti che a posteriori hanno temuto di poter perdere. «In momenti come quelli non si ha molto tempo per pensare. Non si prova nemmeno paura. Quella in realtà viene dopo - spiega Gabriele Capelli -. In quei frangenti si pensa solo a portare a casa la pelle. Esperienze del genere lasciano il segno, speriamo che tutto passi in fretta».

Si scaricano le valigie prima dell’ultima foto di gruppo. Quella del lieto fine.

 

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