Veterinario condannato per maltrattamento

Rimini

RAVENNA. Accusato di maltrattamento di animali per aver eseguito un intervento di caudotomia nei confronti di tre cuccioli di bretoni oltre il limite temporale in cui l’asportazione della coda è ammessa in deroga e di falso in relazione al certificato in cui si faceva riferimento ad una grave necrosi in atto, un veterinario ravennate di 42 anni è stato condannato ieri dal giudice Sabrina Di Giampietro al pagamento di una multa di 8mila euro; 5mila euro invece per l’82enne forlivese proprietario degli animali, accusato solo di maltrattamenti. Il vice procuratore onorario Claudia Lapazi aveva invece chiesto una condanna rispettivamente a 12mila e 10mila euro.

L’intricata vicenda, approdata davanti al monocratico come opposizione ad un precedente decreto penale di condanna, prende le mosse dal sequestro di un’ottantina di cani in una proprietà privata sulle colline da parte del servizio veterinario dell’Ausl di Forlì eseguito il 31 dicembre del 2011.

Tra gli animali, che si trovavano in condizioni igieniche precarie, c’era anche una femmina con sei cuccioli, tre dei quali anuri, nati cioè senza coda, e tre che avevano ancora i segni dei punti dell’operazione, eseguita in un ambulatorio veterinario alle porte di Ravenna. L’intervento, come riferito dallo stesso medico, risaliva al 14 dicembre (quando i cuccioli avevano un paio di settimane, oltre quindi il termine di 8-10 giorni in cui per i soli cani da caccia è consentito) ma il relativo certificato è stato redatto solo il 2 gennaio successivo, a sequestro già avvenuto. Nel documento poi, si faceva riferimento ad una grave necrosi dei tessuti della coda delle tre bestiole senza possibilità di procedere ad una terapia farmacologica. Giustificazione ritenuta non verosimile dal responsabile del servizio veterinario dell’Ausl forlivese ad avviso del quale in un caso del genere si sarebbe dovuto procedere ad una asportazione totale dell’appendice con cicatrici ben più ampie.

In seguito al sequestro la nidiata fu trasferita al canile. E lì, nel giro di pochi giorni, i cuccioli (destinati a diventare cani da ferma) morirono uno dopo l’altro in seguito ad un’infezione. Dei sei solo uno sopravvisse ma, dopo essere stato affidato in custodia, l’esemplare venne rubato nel luglio del 2012. Seguirono vivaci polemiche, tanto che la capogruppo di DestinAzione Forlì, Raffaella Pirini, presentò un’interpellanza all’allora sindaco Roberto Balzani mentre il proprietario degli animali sporse denuncia nei confronti del servizio veterinario che portò all’apertura di un fascicolo, poi archiviato dalla Procura.

Nel chiedere l’assoluzione del suo assistito, l’avvocato Paola Monaldi (che tutelava il proprietario dei cani) ha puntato il dito proprio su questo aspetto. «I cuccioli - ha detto - non sono morti perché maltrattati in precedenza ma perché hanno contratto un’infezione dopo il sequestro. Anche se non è questo il tema odierno, la questione è rilevante. Forse l’accusa di maltrattamento di animali andrebbe rivolta ad altri».

Ancor più netto il giudizio dell’avvocato Carlo Benini, difensore del veterinario. Nella sua appassionata arringa il legale - profondo conoscitore della materia, in quanto a sua volta allevatore di cani da caccia e giudice di secondo grado al consiglio di disciplina dell’Enci (Ente nazionale della cinofilia italiana) - ha evidenziato come il professionista non avrebbe avuto ragione di mentire. «Ben avrebbe potuto procedere all’intervento nei tempi previsti» ha sostenuto, rimarcando poi come sarebbe potuto ricorrere ad altri sistemi, come posticipare la data di nascita; in merito alla documentazione invece ha sottolineato come il certificato sia stato redatto all’inizio di gennaio «perché i cani erano senza microchip e di conseguenza non erano identificati».

Per l’avvocato, quindi, il veterinario ha detto la verità. Ma oltre a chiederne l’assoluzione, Benini si è spinto oltre. «Il mio assistito ha operato i cuccioli per evitare che potessero morire, ma il decesso è stato evitato solo per pochi giorni, perché a quello hanno pensato altri» ha affermato in modo critico, prima di chiedere la riesumazione delle carcasse e la riapertura del procedimento archiviato «per stabilire chi debba rispondere di maltrattamenti».

La richiesta di trasmissione degli atti alla Procura è stata però rigettata dal giudice, che ha ritenuto colpevoli i due imputati. (gi.ro.)

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