Alessio Vassallo: «Sono una persona migliore e peggiore rispetto a qualche anno fa»

Rimini

Alessio Vassallo è un giovane attore palermitano che di strada ne ha fatta partendo dalla sua Sicilia e continua a farne. Attore di cinema, teatro e televisione, è un giovane artista molto talentuoso, partendo dai suoi esordi fino ad arrivare ai giorni nostri. “Dieci storie proprio così”, uno degli spettacoli teatrali che l’ha visto protagonista in terra romagnola, racconta storie di forte impegno civile e di riscatto sociale. Questo spettacolo teatrale racconta il coraggio che hanno avuto molti ragazzi di dire no alle mafie, la tenacia dei parenti delle vittime e di tutti coloro che fanno della libertà, quella vera, la loro ragione di vita, per scegliere e non farsi scegliere. Alessio Vassallo ha anche prestato anima e corpo a tantissimi altri ruoli, tra cui quello di Mimì Augello ne “Il giovane Montalbano” in cui affianca Michele Riondino tenendo incollati allo schermo spettatori di tutte le età per poi interpretare ruoli sempre diversi l’uno dall’altro. Con lui abbiamo fatto un inteso excursus sulla sua intensa carriera nonostante i soli 34 anni d’età.

Vassallo, l’abbiamo vista nell'oramai conclusa stagione teatrale in terra romagnola con “Dieci storie proprio così”.
«Questo spettacolo è partito nel 2011 a Napoli raccontando storie di camorra per poi arrivare in Sicilia, tappa nella quale si sono aggiunte vite spezzate da Cosa Nostra. “Dieci storie proprio così” si è trasformato in una vera e propria memoria attiva, in un presente consapevole del proprio passato ma che guarda al futuro. Ogni anno viene cambiato il testo di questo spettacolo a seconda di dove viene portato in scena raccontando storie di criminalità e di riscatto di quel territorio. In scena non soltanto persone che hanno pagato un prezzo troppo alto, ma soprattutto giovani lavoratori, imprenditori e giornalisti che lottano quotidianamente contro la cultura dell’illegalità; hanno fatto la scelta da che parte stare tentando di riappropriarsi dello spazio pubblico».

Ha portato in scena la tragedia e la speranza.
«Il dolore e la speranza sono legati l’uno all’altra da un filo conduttore che è il riscatto, anche dal male può nascere del bene. Posso dire che la speranza è davvero tutto oggi come oggi, fortunatamente la tragedia non mi rappresenta perché sono stato e continuo a essere un ragazzo fortunato».

Varie volte è stato ospitato dalla Romagna. Come si è trovato?
«Molto bene. Ho sempre avuto un’ottima accoglienza. Per “Dieci storie proprio così” abbiamo avuto un affetto e un calore anche migliore del Sud; non ce lo aspettavamo al nord Italia: serate di grande commozione e vicinanza da parte parte di persone che hanno capito che per combattere le mafie non ci si deve voltare dall’altra parte. La Romagna è una terra puntuale e genuina».

Dove e quando è nata la passione per la recitazione?
«Tutto è iniziato quando stavo per diplomarmi. Avevo l’intenzione di arruolarmi come carabiniere all’Accademia di Modena. Non ero mai entrato in un teatro, al liceo ero un ragazzo molto timido. Ricordo che in quel periodo sono stato operato di appendicite; il mio vicino di letto dell’ospedale era un insegnante di teatro che alla mia guarigione mi ha consigliato di fare un corso di recitazione. Ho seguito il suo consiglio e da lì mi si è aperto un mondo. Dopo il diploma alla Silvio D’Amico a Roma, ho trovato il mio posto nel mondo».

Chi è Alessio Vassallo oggi?
E’ una persona migliore e allo stesso tempo peggiore rispetto a qualche anno fa. Ha avuto il privilegio di vivere tante esperienze per i suoi 34 anni d'età.

Una delle sue prime esperienze sul piccolo schermo è stata “Agrodolce”. Cosa porta nel cuore di quella fiction?
«I luoghi, perché profumavano di casa. Tutte le volte che torno in quei posti ho il ricordo una delle mie prime esperienze da protagonista ma anche quello dei luoghi d’infanzia dove trascorrevo gran parte delle mie estati. “Agrodolce” è stata una grande palestra a casa mia, al mare».

Il grande pubblico l’ha amata moltissimo nel ruolo di Mimì ne “Il giovane Montalbano”. Cos'ha significato vestire quei panni?
«È stato il ruolo che mi ha dato più visibilità, mi ha divertito moltissimo nonostante sia stato molto complesso vestire i panni di Mimì. Abbiamo raccontato una Sicilia bellissima con colleghi fantastici, esattamente come con il regista e la produzione. Mi auguro di continuare con nuove puntate per Rai1».

Andrea Camilleri è uno tra gli scrittori più amati. Perché tanto amore per la sua penna?
«La sua scrittura è alta e bellissima, nelle sue parole c’è il sole. Ha un fortissimo legame con il territorio, il linguaggio e i sapori siciliani. È uno dei pochi scrittori che riesce a far amare una terra anche a chi non vi ha mai messo piede, attraverso i suoi racconti».

È siciliano, più precisamente di Palermo, ma molto spesso è in giro per l’Italia. Cosa porta con sé della sua terra quando è lontano e cosa lascia invece in Sicilia?
«Porto con me gran parte della mia terra, nel mio sangue scorre la mia Palermo, il modo di pensare, agire e ragionare. Lascio purtroppo i genitori ma appena posso torno da loro».

Altro ruolo complesso, quello de “Gli anni spezzati. Il giudice”. Cos'ha capito di quel delicato periodo della nostra storia? E oggi c'è ancora quella frammentazione di allora?
«Nonostante abbia studiato tantissimo per quel ruolo, ho capito poco vista la complessità di quel periodo storico. È chiaro che purtroppo non esiste una verità assoluta, ma ne esistono molte. È stato un lasso di tempo dominato da un terrore atroce per la nostra Italia. La frammentazione del nostro Paese continua a esistere».

“Fino a qui tutto bene”. L’ha definito il ruolo più “toccante” della sua carriera. Perché?
«Innanzitutto perché rispecchia la vita che per il momento sta procedendo nel miglior modo possibile. Il regista è stato bravissimo nel delineare quella linea d’ombra che segna il passaggio dall’essere ragazzo al diventare un uomo; un periodo della vita che affrontiamo tutti, in cui ci troviamo costretti a gettarci nel vortice dell’esistenza con le sue gioie e i suoi dolori, a relazionarsi con gli altri, con il lavoro, con i no e con i sì».

Ha preso parte a “Io sono Libero”, il film documentario su Libero Grassi. Oggi, cos'è la libertà?
«Sono orgoglioso che la Rai abbia raccontato quella Sicilia coraggiosa, che si è saputa ribellare alla mafia, per far comprendere alle persone che c’era la possibilità di ribellarsi. La libertà è proprio la capacità di dire no o sì».

I suoi prossimi progetti?
«In autunno, sarò tra i protagonisti della seconda stagione de “I medici”».

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