«Il vescovo ritiri le sue parole inopportune»

Rimini

Lo aveva annunciato ed è stata di parola. La Comunità islamica di Imola, pensando che le acque si fossero un po’ calmate, avrebbe aspettato l’11 settembre per rispondere alle dichiarazioni del vescovo diffuse la scorsa settimana dal settimanale diocesano Il Nuovo Diario Messaggero. E così, in un giorno tanto carico di significato, davanti alla targa del giardino in via Zambianchi che ricorda il terribile attentato alle Torri Gemelle e al Pentagono, dopo l’intervento del vicesindaco Roberto Visani, ieri è arrivato l’atteso discorso del rappresentante degli islamici imolesi. «Sono passati ormai tredici anni, tredici anni segnati da conflitti e interventi tesi per portare la pace nel mondo e sconfiggere il terrorismo, ma adesso possiamo dire che quella tragedia riguarda tutti noi, nessuno di noi può sentirsi al riparo dall’odio reso cieco dal fanatismo che sia da persone singole, gruppi organizzati o stati. Il terrorismo non colpisce solo le persone e le aree geografiche, ma anche la convivenza, la giustizia, il dialogo e la crescita civile in tutto il mondo - ha detto Sabir Mohamed rimarcando che il miglior modo per combattere il terrorismo servano - la cultura, il dialogo, il confronto costruttivo, cercando di stare lontani dai discorsi mediatici propagandistici classici di certi partiti. Siamo consapevoli che è possibile costruire una società giusta ed aperta a tutti». Poi il passaggio sulla lettera del vescovo. «Siamo molto sorpresi e rammaricati per l’uscita violenta ed aggressiva del signor vescovo contro la nostra comunità che ha dato spunto ad esponenti politici nazionali e locali per diffondere la loro propaganda, fino ad arrivare a chiedere la chiusura del nostro centro culturale. Noi condividiamo la preoccupazione del vescovo, ma servono attenzione e vigilanza per non accrescere l’odio sociale. Siamo ben consapevoli delle sofferenze dei cristiani, musulmani ed altre minoranze religiose nel mondo, ma non abbiamo mai chiesto ai nostri amici cristiani o buddisti di pronunciarsi sulle barbarie della Repubblica Centrafricana o della Birmania, avendo la fiducia e la certezza che i nostri amici condividano le nostre preoccupazioni e condanne. Cari amici, a fine giugno 2014 venne fuori il cosiddetto Isis presunto stato con tanto Califfato; gruppo di atroci e crudeli assassini lontani anni luce dagli insegnamenti dell’Islam. È stato definito da autorevolissimi Mofti come un raggruppamento di miscredenti. La nostra comunità ribadisce la sua forte condanna come l’ha già fatta tramite l’Ucoii. Teniamo presente che siamo italiani musulmani, siamo un valore aggiunto, una ricchezza ci consideriamo parte integrante della società italiana. Detto questo, in nome della nostra comunità, chiediamo al signor vescovo di ritirare le sue inopportune dichiarazioni, e lo invitiamo ad un impegno comune per rafforzare i canali del dialogo e di combattere l’ingiustizia sociale che esaspera i conflitti; terreno fertile del fondamentalismo. Dobbiamo continuare in questa direzione, lo dobbiamo alla memoria delle vittime innocenti di tutto il mondo. Ogni anno saremo qui a ribadire il nostro impegno, la nostra disponibilità e il nostro sforzo comune fino a sradicare la malapianta del terrorismo». Anche l’intervento della Diocesi, rappresentata dal vicario generale monsignor Signani, arriva un no alla violenza e un sì alla pace, condita però da un’inattesa citazione del testo sacro dell’Islam. «Ho aperto il Corano a caso stamattina e la sura 63 dice “Distribuite largamente quello che vi abbiamo dato prima che la morte vi colga”. Quindi c’è anche in questo un insegnamento di solidarietà, di condivisione - ha detto il vicario prima di addentrarsi sul testo di monsignor Ghirelli -. L’intervento del vescovo è stato frainteso, strumentalizzato. Sono stati esasperati i contenuti. Penso che debba essere anche colto in una dimensione di accoglienza che viene di fatto dalle parrocchie, dalle Caritas diocesane, dall’attenzione alle persone a cui non viene mai chiesto di che religione sia. Quindi dispiace molto al vescovo stesso, a tutta la Chiesa, il fraintendimento. Non c’è nessuna volontà di esasperazione. Anzi. C’è un desiderio di poter continuare proprio nella solidarietà, nella pace, nella serenità».

 

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