Squillo cinesi in appartamento

Rimini

IMOLA. In quattro, come veri manager, gestivano “società” del sesso, con una schiera di prostitute, tutte cinesi, che a fatica parlavano l’italiano. Ma non era un problema. Dalla “sede” di Reggio Emilia pensavano tutto a loro. Rispondevano alle chiamate dei clienti poi informavano le ragazze che così erano pronte a riceverli in due appartamenti, uno in pieno centro storico a Imola e l’altro a Castel San Pietro. Ma di alcove a luci rosse ne erano state impiantate anche a Modena e Bologna.

Con l’accusa di induzione e sfruttamento della prostituzione sono finiti in carcere Giorgio Bonato, 57 anni, la sua convivente Liangmei Chen, 35 anni, e una coppia di coniugi cinesi entrambi 42enni: Jian Jin, il marito, e Qing Ye, la moglie (indagate anche quattro persone che facevano da prestanome per l’affitto degli appartamenti). A stroncare la loro attività sono stati gli uomini del commissariato di Imola dopo un’indagine coordinata dal sostituto procuratore Massimiliano Rossi, alla quale hanno partecipato anche i colleghi della squadra mobile di Bologna e di Reggio Emilia. Dopo le convalide degli arresti i due uomini sono stati portati nel carcere di Reggio Emilia mentre le donne si trovano in cella a Modena.

La struttura era manageriale. I quattro tiravano i fili dalla città emiliana facendo prostituire a rotazione decine di ragazze nelle due abitazioni di Imola e Castel San Pietro. Senza costrizione: tra gli arrestati e le donne, quasi tutte tra i 35 e i 45 anni, c’era infatti un vero e proprio accordo commerciale. Alle lucciole andava il 40% dell’incasso, il resto ai quattro “manager” che però dovevano fornire, oltre agli appartamenti, anche vitto e alloggio, oltre che vestiti e il necessario all’attività. I poliziotti negli appartamenti hanno infatti sequestrato scatolini di salviette igienizzate e una montagna di preservativi. Il business era assicurato e a quanto pare piuttosto redditizio. Gli investigatori hanno recuperato circa 12mila euro ma è chiaro che nell’arco di un anno (tanto è durata la casa d’appuntamenti a Imola mentre a Castel San Pietro il commercio del sesso durava solo da marzo) i quattro hanno guadagnato molto di più.

Le ragazze restavano per giorni interi in casa, per non dare nell’occhio, poi ruotavano da una città all’altra. Le tariffe erano diverse: da un minimo di 30 euro a un massimo di 100 a seconda della prestazione. A volta, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti attraverso complicate intercettazioni tradotte dal cinese, venivano richiesti anche rapporti sessuali non protetti con un prezzo maggiorato. Il denaro incassato poi veniva spedito quasi sempre in Cina. Nel corso delle perquisizioni i poliziotti hanno trovato anche dei quaderni con le tipologie di prestazioni indicate in italiano e tradotte in cinese a fianco. Parlando quasi nulla di italiano le ragazze la comunicazione con i clienti era pressoché impossibile. A quel punto bastava indicare sul quaderno, poi si passava in camera da letto.

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