Truffa, chiesto il processo per Solaroli

Rimini

IMOLA. Truffa aggravata: il pm di Bologna chiede il rinvio a giudizio per l’ex sindaco Bruno Solaroli, anche ex capo di gabinetto del governatore della regione Vasco Errani, e per Zoia Veronesi, segretaria storica di Pierluigi Bersani.

Ieri l’avvio dell’udienza preliminare. Per l’accusa, la Veronesi percepì indebitamente dalla Regione di cui era dipendente 140mila euro per svolgere a Roma l’incarico di raccordo col Parlamento (2008-2010), ma lavorando in realtà solo per Bersani. Si era poi dimessa da viale Aldo Moro ed è stata assunta dal Pd. Ieri, la donna si è presentata al Tribunale di Bologna per la prima udienza preliminare davanti al gup Letizio Magliaro che dovrà decidere del rinvio a giudizio chiesto dal pm Di Giorgio, e ha respinto ogni accusa. «Sono incredula - ha detto ai cronisti - ho passato una vita a lavorare». E ha ribadito la sua difesa, chiarendo che a Bersani, dava solo «una mano nei ritagli di tempo, senza essere pagata. Mi offenderei se qualcuno lo pensasse».

Il pm ha chiesto il rinvio anche per l’ex sindaco Ds Bruno Solaroli, nelle vesti del dirigente che avrebbe “creato” l’incarico per l’assistente di Bersani. L’accusa contro Veronesi è di essere stata solo formalmente una dipendente della Regione, ma di aver continuato a lavorare per Bersani in via esclusiva. Ieri, il gup ha fatto in tempo solo ad ascoltare l’intervento del pm, che ha ribadito le accuse, dopodiché ha dovuto per altri impegni rimandare tutto al 30 maggio.

Bruno Solaroli ha sempre sostenuto che «Zoia Veronesi aveva già la qualifica di “dirigente professional” fin dal primo gennaio del 2002, qualifica che mantenne fino al 2006 quando prese l’aspettativa per seguire Bersani a Roma, al ministero dello Sviluppo economico». Quando cadde Prodi, la Veronesi tornò in Regione. In quel periodo Solaroli aveva l’incarico di riorganizzare i servizi. «Si trattava di unificare, sopprimere, rendere più efficace la macchina, risparmiare - spiegò in fase di indagine l’ex sindaco - tutto in un contesto che riguardava una decina di persone. All’interno di quel processo non feci altro che ridare alla Veronesi la qualifica che aveva avuto in precedenza».

Inoltre «la mia determina avviene a cavallo tra due delibere di giunta. Ce ne fu una prima, che conteneva un pacchetto di nomine e tra queste c’era l’autorizzazione a dare la qualifica alla Veronesi. Poi, una volta presentata la mia determina, fu di nuovo la giunta a recepirla con una delibera, altrimenti non avrebbe avuto nessuna efficacia». Se abuso c’è stato, insomma, a farlo non fu, secondo al sua tesi, il dirigente. Ma la Procura non pare essere dello stesso avviso.

L’inchiesta venne aperta a seguito dell'esposto presentato dall'ex deputato Enzo Raisi, nel 2010. L’avvocato di Veronesi, Paolo Trombetti, critica in particolare l’accusa alla sua assistita di non aver lavorato. «E’ offensivo – commenta - perché nel capo d’imputazione c’è scritto proprio questo: “omettendo di fornire la prestazione dovuta”. Ma Veronesi, quando era dipendente della Regione, «continuava a fare un’attività volontaria per ragioni ideali» a supporto di Pier Luigi Bersani, ex segretario del Pd. Dunque, «si tratta di accuse scandalose».

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