Fare l'amore fa bene, ma a chi?

Rimini

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini, prima di affermare “riapriamo le case chiuse, fare l’amore fa bene”, dovrebbe farsi una domanda: potrei mai accettare che a prostituirsi fosse mia figlia?

C’è un bene infinitamente superiore rispetto al “bene” che può regalare “fare l’amore” (che dal punto di vista della donna è uno stupro a pagamento) ed è quello che nel secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione viene definito “pieno sviluppo della persona umana”. Tra i compiti fondamentali che si è data la nostra Repubblica, a partire dal primo gennaio del 1948, c’è quello di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Basterebbe prendere come riferimento del proprio agire quotidiano questo passo della carta costituzionale - e non certo il “bene” che ne può ricavare un cliente - per non avere il minimo dubbio sul fatto che nessuna legge dello Stato dovrebbe mai giustificare né tantomeno disciplinare la riduzione in schiavitù di una donna, ovvero la prostituzione.

Salvini a “RadioAnch’io” sostiene che si tratta di “scelte” nonostante gli venga obiettato quale scelta possa mai avere una prostituta nigeriana sbattuta su un marciapiede. “Sono scelte e io voglio che il fenomeno sia disciplinato da delle regole, non dalla criminalità”. Ma quanti “ostacoli di ordine economico e sociale” lo Stato non ha rimosso lungo il percorso della vita di una ragazza che arriva a vendere il proprio corpo al primo che capita in cambio di denaro?

Che condizioni disumane ha trovato in famiglia, nella scuola, tra le amicizie per accettare di farsi abusare come fonte di sostentamento?

Prima di argomentare che “fare l’amore fa bene”, Salvini se le fa queste domande? Se lo chiede, il ministro dell’Interno, che vita avrebbero potuto avere quelle ragazze se lo Stato avesse avuto la forza d’intervenire? S’interroga, il capo della Lega, su cosa possa fare oggi lo Stato per salvarle, invece di continuare a lasciarle in balia di uomini che hanno una cultura e un’educazione sessuale a dir poco mostruosa? Qual è lo slogan di questa nuova campagna decisamente poco umana, prima i puttanieri?

Ma torniamo alla domanda iniziale: se a prostituirsi fosse sua figlia e lui un cittadino qualunque, Salvini non vorrebbe vivere in una paese in cui il primo obiettivo delle istituzioni fosse il salvataggio di sua figlia e non invece la soddisfazione di un’animalesca pulsione sessuale?

Grazie all’immenso lavoro di un riminese in odore di santità, don Oreste Benzi, lo Stato italiano ha riconosciuto (e legiferato in proposito) che esisteva, ed esiste, “una tratta” per la riduzione in stato di “schiavitù” delle donne deportate dal Centro Africa. Solo allora, e parliamo di poco più di venticinque anni fa, si è cominciato a capire che quelle ragazze strappate dai propri villaggi e dalle proprie famiglie non finivano sulle strade di Rimini per avidità di denaro o “scelta di vita”. Oggi anche questa consapevolezza, che ha permesso alla comunità papa Giovanni XXIII di liberare oltre diecimila ragazze, sembra essere andata perduta, calpestata in nome del preistorico concetto del “mestiere più antico del mondo”.

Le ragazze dell’Est, costrette oggi a battere i marciapiedi, vivono una realtà del tutto simile alle nigeriane degli anni Ottanta. Eppure sembra che si offrano unicamente per arricchirsi. Ma perché? Possono fare la differenza, agli occhi dell’opinione pubblica di un paese che si definisce civile, l’avvenenza e le tariffe di una prostituta? Anche loro sono vittime di sfruttatori. Ma anche se non lo sono, come nel caso di diverse italiane che si propongono attraverso siti o giornali locali anche della nostra zona (che di fatto commettono il reato di favoreggiamento della prostituzione nonostante nessuno sembri farci caso), parlare di libertà di scelta significa cancellare il significato di stato sociale che si fonda sul principio dell’uguaglianza sostanziale. Equivale a spostare all’indietro le lancette della storia con la prospettiva della barbarie, della donna che retrocede a oggetto del mignottaro, opposta a quella del welfare, del benessere reale e diffuso. L’ennesimo, popolarissimo, ritorno al passato. Prima i puttanieri.

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