Crack Marinara a Ravenna, chiesti 5 anni per Caravita e la moglie

Rimini

RAVENNA. Il prossimo aprile saranno trascorsi sette anni dal fallimento di Marinagest e Sogemar. E per la ricorrenza arriverà anche la sentenza nei confronti di Pier Bruno Caravita e della moglie Patrizia Odessa - rispettivamente presidente e procuratore speciale delle due società che avevano la gestione di Marinara fino al 2011. Per entrambi ieri il pm Lucrezia Ciriello ha chiesto la condanna a 5 anni per bancarotta fraudolenta. È questo l’ultimo strascico giudiziario dell’intricata e sfortunata storia del porto turistico di Marina di Ravenna, che è arrivato a discussione nel corso del rito abbreviato davanti al giudice per l’udienza preliminare Andrea Galanti.

Il duplice fallimento nel 2012

L’inchiesta ruota attorno al fallimento delle due società, entrambe incaricate da Seaser (tutt’oggi titolare della concessione demaniale) della gestione del porto turistico: a Marinagest erano affidati i posti barca e gli ormeggi, mentre Sogemar aveva la parte a terra, comprensiva di negozi, appartamenti, posti auto e uffici.

Tutto era naufragato nell’aprile 2012, quando le due società avevano dichiarato il fallimento a distanza di un mese l’una dall’altra. Sulle cause del crack si erano mosse le indagini della Procura, culminate con la richiesta di rinvio a giudizio per Caravita e consorte, ipotizzando condotte distrattive architettate ad hoc per traghettare fondi dalle casse delle due società ad altre del gruppo. Un ‘piano’, secondo l’accusa, del valore di oltre 2,8 milioni di euro. Nel dettaglio, circa 955mila euro erano passati da Marinagest a Cmr, la società cooperativa di Filo d’Argenta di cui Caravita era legale rappresentante, a sua volta dichiarata fallita dal tribunale di Ferrara nell’aprile 2011. Oppure un contratto di locazione anticipato per due unità immobiliari del valore di 864mila euro, in favore della società controllata Marina Estate, secondo l’ipotesi accusatoria, simulato. E ancora, oltre 415mila euro distratti dalla Sogemar e portati a un’altra società del gruppo, la Myo srl, responsabile della gestione degli affitti di tutto il complesso edile.

La difesa

Se per l’accusa quei finanziamenti erano finalizzati a impoverire le casse delle due società creando «pregiudizio ai creditori», i difensori degli imputati (gli avvocati Lorenzo Valgimigli ed Enrico Ferri) hanno sostenuto durante l’arringa che le operazioni finanziarie contestate risalivano al 2010, in un periodo in cui entrambe le società erano attive.

A determinare il fallimento - hanno proseguito i legali - era stata una causa esterna: vale a dire la decisione di Seaser di revocare il contratto di gestione. In pratica, il 31 dicembre 2011 sia Marinagest che Sogemar si sarebbero ritrovate senza Marinara, e per questo erano affondate. Lo stesso Caravita, sentito a suo tempo nel corso del processo, aveva sempre sostenuto che tutte le operazioni avevano una precisa logica imprenditoriale. Per esempio, quei 944mila euro versati a Cmr, in realtà Marinagest li doveva a Seaser, la quale a sua volta aveva un debito di pari entità nei confronti della coop costruttrice di Marinara.

Eppure, stando alla posizione dell’accusa, il conflitto d’interesse per i ruoli ricoperti da Caravita all’interno dei gruppi c’era eccome. A pesare sulla decisione del giudice potrebbe infatti giocare un ruolo importante anche la condanna dell’imprenditore a 8 anni di reclusione e 4 milioni di euro di risarcimento per il crack di Cmr (con lui anche Paolo Conforti era stato condannato a 5 anni e mezzo). Per scoprirlo si dovrà attendere l’anniversario di quel tracollo che per anni ha segnato il corso di Marinara.

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