Evviva architette, sindache e avvocate

Rimini

Potete tranquillamente ammetterlo: l’avete pensato anche voi che tutte queste storie su “ministra”, “avvocata” e “architetta” hanno stufato. Che, in fondo, che cosa cambia, ci sono ben altre questioni. Che non è dalle parole che passa la parità di genere, né tanto meno si risolve così la piaga della violenza sulle donne. Confesso: un tempo lo pensavo anch’io.

Lo pensa, credo, il mio compagno quando a sera mi infervoro contro questo o quel giornale che titola «il sindaco Maria Rossi» fregandosene delle concordanze e del senso, e lui replica sconsolato: sì, vabbè, ma come la condiamo la pasta?

Insomma, non è che non ce ne rendiamo conto – noi «femministe arrabbiate», noi grammar nazi della correttezza di genere, intendo – di quei risolini sommessi, di quei sopraccigli alzati, di quello sbuffare insofferente...
Ma non è di un titolo da scrivere sul biglietto da visita che stiamo parlando: perché la lingua che usiamo – spiega chi ne sa di più – crea e modifica il nostro modo di pensare.

La lingua e il pensiero

Ci sono due questioni da prendere in considerazione in questa faccenda: quella linguistica e quella per così dire “politica”. Dal punto di vista linguistico – lo dicono le studiose e gli studiosi – l’italiano ha un maschile e un femminile, il “neutro inclusivo” non esiste, ce lo siamo inventati. Se diciamo direttore intendiamo un maschio, se diciamo direttrice intendiamo una femmina. E difatti usiamo tranquillamente infermiera, operaia, bidella, ruoli con cui abbiamo a che fare da tempo. Storciamo il naso invece di fronte a ingegnera, chissà perché. O meglio, la giustificazione più comune è: suona male, non mi piace. Purtroppo il piacere o il non piacere non sono categorie pertinenti, altrimenti non esisterebbe nemmeno la parola ornitorinco, che è parecchio buffa, dovete ammetterlo. Oppure c’è chi sostiene che “ingegnere” riguardi il ruolo, non la persona, e quindi debba rimanere invariato. Ok, e allora come la mettiamo con la commessa e l’infermiera? Se esiste ingegnere, esiste anche ingegnera, basta abituarsi. O non sarà mica una questione di prestigio sociale? Perché operaia sì e sindaca no? Una volta non ci facevamo caso, le ingegnere erano rare, ma adesso le cose sono cambiate, e pronunciare un nome al femminile può voler dire validare la sua esistenza nel mondo.

E siamo al punto “politico”. Perché dire una cosa significa inverarla, darle spazio, dimostrare in pratica alle nostre figlie e nipoti che anche loro, se vogliono, potranno fare le ingegnere. Sembrano inezie, ma non lo sono (se lo fossero forse non creerebbero tanto scompiglio). Sono invece segnali, gesti di rispetto, oltre che dimostrazioni di correttezza grammaticale. Segnali che al Corriere Romagna cerchiamo di cogliere e di diffondere, perché ci crediamo, e perché prendiamo sul serio il nostro delicatissimo ruolo: come tutti i giornali, veniamo letti quotidianamente da tante, tante persone, di ogni età, estrazione e cultura, e ciò che scriviamo, e anche come lo scriviamo, ha un peso enorme. Se linguiste e linguisti ci dicono che usare il femminile è corretto e auspicabile, come possiamo noi scientemente ignorarlo?
Architette e architetti, chirurghi e chirurghe, assessori e assessore... prima o poi non faremo più caso al maschile e al femminile, sarà normale e diffuso, ma adesso – proprio adesso – è ancora più importante sottolineare la differenza. Perciò, abbiate pazienza, perdonate la pedanteria, e viva le sindache e le avvocate!

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui