L'attacco alla stampa e al diritto di informare

Rimini

Le campane del governo, o almeno della parte grillina, suonano a morto per i giornali: saranno i lettori a salvarci, per salvare loro stessi. Gli attacchi alla stampa sono figli di una furia ideologica che travolge i fatti, sostituisce la ragione con l’emozione, corrode il linguaggio ridotto a slogan. Offrire la solidarietà ai colleghi delle testate del Gruppo L’Espresso (diventato Gruppo Gedi, comprende anche La Stampa) ai quali il vicepremier Luigi Di Maio augura la morte non è un riflesso corporativo, né un gesto dovuto ai legami di vicinanza con la “società” presa di mira. E’ l’occasione per una riflessione più ampia. L’aggressione ai giornali è solo uno degli aspetti dell’attuale vita pubblica nei quali si fa appello alla rabbia per oscurare ogni tentativo di argomentare, approfondire, ragionare. Un metodo tipico della propaganda che, alimentato dallo spirito dei tempi e dalla disinformazione che infesta la rete, ferisce la democrazia.
E’ il caso di farsi un paio di domande. Perché il ministro del Lavoro, istituzionalmente votato a evitare licenziamenti dovrebbe accanirsi su un settore in crisi (800 occupati in meno dall’inizio dell’anno)? Il crollo del sistema finirebbe per pesare, tra l’altro, sulla collettività e travolgerebbe intere categorie, a partire dagli edicolanti. Perché il sottosegretario con delega all’editoria, Vito Crimi, il cui compito è distribuire i fondi per il sostegno pubblico si ripropone di abolirli? Si badi bene: quei soldi non arrivano ai “giornaloni”, ma a testate no profit, edite da vere cooperative, espressione del territorio. Il colpo, se si deciderà di assestarlo, finirà con l’abbattere non l’espressione delle élites, ma i soggetti meno tutelati sul mercato, vicini alla gente e sganciati da logiche di potere.
Il problema riguarda tutti perché erode un principio fondamentale, garantito dalla Costituzione, che non è appannaggio dei giornalisti, ma dei lettori: il diritto a essere informati.
Poi certo, per carità, si può pure continuare a sbirciare distrattamente sugli schermi i titoli sensazionalistici di certi siti oppure darsi ragione gli uni con gli altri al riparo delle “bolle” che si formano sui social, e vivere bene lo stesso. L’informazione, però, è un’altra cosa, anche quella che qualcuno definisce “locale” con una nota altezzosa nella voce. Fateci caso: in genere chi lo fa è uno che non legge neppure la stampa “nazionale”. Altrimenti saprebbe che ogni notizia, anche quella che fa il giro del mondo, è “locale”. Dietro c’è sempre un cronista che vede i fatti con i propri occhi, mica li apprende su Facebook. Al Corriere Romagna ce n’è una squadra intera, matura, esperta e professionale guidata dal direttore Roberto Masini, che si è formata, anche attraverso gli errori, nei 25 anni di vita del giornale, capace di fare meglio con meno, animata dalla ricerca delle notizie (utili, scomode, drammatiche o divertenti), ma sempre al servizio della comunità. Non si dice mai, però, che anche la comunità ha acquistato valore ed è diventata migliore grazie all’esistenza del quotidiano. Il quotidiano della propria città. Un patrimonio identitario, di storie, di idee, di documentazione, mai come adesso aperto al contributo di tutti: non sarà spazzato via facilmente. Le testate minacciate continueranno a vivere a lungo. Il giorno in cui dovesse chiudere l’ultimo dei giornali realizzato da cronisti-testimoni di verità in una qualsiasi declinazione tecnologica, sarà la fine per la democrazia. Vorrà dire che i lettori si sono trasformati in sudditi. Sta a loro impedire la metamorfosi: salvando la stampa e, con quella, se stessi. 

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