Dà del gay al marito e lui la denuncia: per la legge non è un'offesa

Rimini

RIMINI. «Mio marito è omosessuale». A cena con altre persone e rivolta a una coppia di amici comuni, la donna si abbandona a una confidenza riguardo alla propria crisi coniugale e alla decisione di separarsi, circostanza che aveva creato un certo stupore nel giro dei conoscenti: i due, visti da fuori, sembrano fatti l’uno per l’altra. «La verità è che non abbiamo più rapporti intimi e non certo per mia volontà». Sospettando un tradimento la donna, racconta a tavola, di avere scoperto che, sorprendentemente, il marito aveva «installato sul proprio telefono un’applicazione dedicata alle chat e agli incontri con altri uomini». Uno sfogo personale, ma la rivelazione è troppo ghiotta per rimanere riservata, e la voce sull’omosessualità del marito, persona in vista nella località del Riminese teatro della vicenda, di sussurro in sussurro, arriva alle orecchie dell’interessato. Il risultato? Il marito, ormai in via di separazione, s’infuria, si ritiene offeso e denuncia la moglie per diffamazione.

"E' omosessuale"

La coppia però non finirà mai davanti al giudice di pace, come avrebbe voluto lui per fargliela pagare. La procura, infatti, ha appena chiesto l’archiviazione del procedimento «perché il fatto non costituisce reato». Gli amici comuni che erano a cena, ascoltati dai carabinieri come persone informate sui fatti, hanno confermato il contenuto della conversazione, ma il termine “omosessuale”, per la legge, non deve essere considerato né offensivo, né denigratorio. Nella richiesta di archiviazione si fa esplicito riferimento, in questo senso, alla Cassazione (sentenza 50659 del 2016).

"Non è dispregiativo"

I giudici della Suprema corte, interrogati su un caso analogo hanno, infatti, chiarito come la semplice attribuzione della qualità “neutra” di “omosessuale”, termine non dispregiativo riferibile solo alle preferenze sessuali dell'individuo ed entrato nell’uso comune, non possa considerarsi lesiva della “reputazione” personale neppure se pronunciata con un’intenzione offensiva. In pratica è come se se avesse detto «Mio marito è biondo». La procura, nel caso in questione, tra l’altro, nelle parole dell’indagata pronunciate per spiegare le ragioni della crisi sentimentale non ha letto neppure un intento diffamatorio né la volontà di mettere in giro un pettegolezzo. «Non si ravvisano elementi di rilevanza penale – si legge nella richiesta di archiviazione – sia per la mancanza dell’elemento materiale sia per la mancanza dell’elemento psicologico del reato». Viste le premesse sarà facile convincere il giudice chiamato a chiudere il caso, è certo però che il destinatario dell’espressione, vista la sua reazione, non l’aveva presa bene.

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