Marcia anti pride, il parroco prende le distanze. I promotori: «Gay è contro la legge cristiana»

Rimini

RIMINI. Il parroco della chiesa di San Giuliano, don Cristian Squadrani, ieri mattina durante la messa ha preso le distanze dalla “Processione di riparazione pubblica per il gay pride di Rimini”. «Non è una nostra iniziativa - ha detto dall’altare don Cristian -, non della parrocchia né della Diocesi, né intendiamo incentivarla». La processione prenderà il via sabato alle 10,30 proprio di fronte alla chiesa di San Giuliano, sfilerà per le vie del centro fino a raggiungere la chiesa di San Bernardino. «Prendiamo le distanze», taglia corto il sacerdote.

Giampiero Lascaro, 59 anni, componente del Comitato “Beata Giovanna Scopelli”, tra gli organizzatori della processione che intende riparare al “Rimini summer pride” che si terrà sul lungomare nel pomeriggio, spiega le ragioni di un’iniziativa che ha suscitato l’indignazione dell’Arcigay oltre che la presa di distanza da parte della chiesa di San Giuliano.

Lascaro, quanta gente parteciperà alla processione?

«Posso ipotizzare un centinaio di persone».

Papa Francesco si domanda “chi sono io per giudicare?” Voi chi vi credete di essere?

«Le citazioni vanno fatte per intero. Ha detto “se un gay prega e cerca Dio, chi sono io per giudicare?”. È una condizione oggettivamente disordinata. Proviamo a cambiare termine: se invece di omosessuale dico pedofilo... ».

È un’assurdità, un paragone insopportabile, senza senso.

«Per me è assurdo affermare che l’omosessualità sia la normalità».

A Reggio Emilia il vescovo ha preso le distanze da una recente vostra processione analoga anti gay pride. Il parroco di San Giuliano, chiesa da cui partirete sabato, ha già fatto altrettanto. Al vescovo di Rimini avete chiesto l’approvazione?

«In realtà monsignor Camisasca nel suo comunicato ha rilevato che “i laici hanno tutto il diritto di trovarsi a pregare pubblicamente” riconoscendo così ciò che il diritto sia la legge della chiesa, nel codice di diritto canonico, concede ai laici, ovvero la possibilità di promuovere autonomamente iniziative volte alla difesa della fede e dei costumi, là dove fossero violati. Noi partiamo da un luogo pubblico: non dalla chiesa di San Giuliano ma di fronte. È una iniziativa di laici che non coinvolge la Diocesi. Al vescovo di Rimini lo abbiamo comunicato».

Monsignor Francesco Lambiasi vi ha risposto?

«Il segretario ci ha detto che è in vacanza e che glielo riferirà. C’è un dialogo in corso».

L’Ordine Carmelitano vi ha diffidati dall’usare il nome della beata Giavanna Scopelli.

«L’Ordine può diffidare quel che vuole ma non ne ha titolarità… Scopelli è stata una carmelitana ma loro non ne hanno il copyright. Quando si è in imbarazzo si ricorre a questi mezzucci».

Gli omosessuali scendono in strada per i propri diritti: perché voi vorreste negarli?

«Sono rivendicazioni che fanno allo Stato, non è questione che ci riguarda anche se siamo contrari. La nostra processione nasce dal fatto che si rivendica l’orgoglio pubblico dell’omosessualità che va contro la legge cristiana: è a questo che poniamo rimedio con la preghiera di riparazione».

Cosa vi fa paura nella libertà degli altri?

«Non siamo spaventati da nulla: l’omosessualità è sempre esistita. Ci esorta a muoverci la rivendicazione di una positività di qualcosa che è fortemente negativo. Vengono minati alla radice il giudizio e la comprensione di ciò che è umano: donna e uomo sono complementari per natura. La rivendicazione dell’orgoglio omosessuale sconvolge le fondamenta della società. Gli omosessuali non potranno mai fare un figlio se non comprandolo, sborsando milioni per farselo fabbricare».

La vostra iniziativa rischia di ferire e offendere molte persone contro le quali puntate il dito tanto che c’è chi pensa che è alla vostra processione che occorrerebbe porre riparazione.

«Loro non offendono nessuno quando vanno in giro con il culo nudo, mimando anche atti sessuali? A quelle manifestazioni succede di tutto: fossi in loro mi darei una calmata. Io non giudico il comportamento del singolo ma qui si fa apologia di un comportamento collettivo dai frutti sconvolgenti».

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