Cinque minuti per disfarsi del corpo della figlia Katerina

Rimini

RIMINI. All’andata cammina sicura trascinando il trolley con il piglio della viaggiatrice che ha in mente la sua meta e non sente la fatica. Al ritorno, invece, barcolla: come se, con l’assenza, il dolore facesse improvvisamente sentire tutto il peso della perdita. Cinque minuti per disfarsi della valigia con la figlia morta dentro. Tanto ha impiegato Gulnara Laktionova per sbarazzarsi, in un momento di follia, del cadavere della povera Katerina, dopo una settimana di veglia e a poche ore dalla sua partenza per la Russia. Le immagini della videosorveglianza, recuperate grazie alla pazienza degli agenti della Squadra mobile e dei marinai della Capitaneria di porto “reclutati” per l’occasione, documentano il transito della madre verso un angolo dell’invaso del Marecchia. Andata (con la valigia) e ritorno (senza) tra le 4.36 e le 4.41 del mattino di sabato 18 marzo, circa sei ore prima del volo. La donna, indagata a piede libero per morte conseguente di maltrattamenti e sottrazione di cadavere (difesa dagli avvocati Mario Scarpa e Ilaria Perruzza), a dispetto delle sue stesse dichiarazioni, non aveva nessuna intenzione di portarsi dietro, come bagaglio, la figlia morta. Intendeva disfarsene e lo ha fatto in un orario nel quale nessuno poteva vederla. Le telecamere, però, ormai hanno occhi dappertutto e hanno continuato a riprenderla in una serie di via vai in cui si è sbarazzata via via di tutto quello che aveva all’interno dell’appartamento di via Farini (sacchi pieni, un’altra valigia) un bilocale che divideva con la figlia. A uccidere la figlia è stata l’anoressia, ma Gulnara non è stata capace di dare una spiegazione, ammesso che ce ne possa essere una, al proprio comportamento. La domanda sorge spontanea: si è presa cura sufficientemente di sua figlia, soprattutto negli ultimi giorni?

La cornice umana

Il pm Davide Ercolani e gli investigatori della Squadra mobile diretta dal vice questore aggiunto Massimo Sacco in un caso come questo si stanno impegnando a ricostruire anche la cornice “umana” della vicenda. Ecco così che sfilano i testimoni, conoscenti e datori di lavoro della donna russa, vicini di casa. Si è scoperto così che la donna russa inizialmente aveva prenotato il ritorno in patria con la figlia per il 4 marzo. Nell’interrogatorio ha sostenuto di aver posticipato la data perché non aveva messo assieme la somma sufficiente per i biglietti. La ragazza, che è morta la sera tra il 10 e l’11 marzo, è stata accudita a dovere negli ultimi giorni? Nelle condizioni in cui era ridotta, in ogni caso, non avrebbe potuto vivere ancora a lungo. Per capire cosa passava per la mente alla madre, gli inquirenti hanno sequestrato i suoi due telefonini per affidarli a un perito informatico che recupererà ed eventualmente tradurrà i messaggi che la donna scambiava con i suoi principali interlocutori: una connazionale che vive a Rimini e il pensionato riminese che era diventato suo amico. Qualcuno l’ha consigliata male? Qualcuno l’ha aiutata nel suo proposito? Gli ultimi tasselli devono ancora andare a posto, prima di concludere che si tratta di una storia di disperazione e che la responsabile dell’unico reato finora provato (il tentativo di fare sparire il cadavere) è soltanto lei. La doppia ripresa della telecamera, più che una prova, è l’immagine della tristezza.

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