Identificata la donna trovata nel trolley: una 27enne dell'Est

Rimini

RIMINI. È stata identificata, grazie alle impronte ricavate dalla ricostruzione dei polpastrelli e al lavoro della polizia scientifica di Roma, la giovane donna trovata morta nella valigia ripescata sabato mattina nelle acque del porto canale di Rimini. La ragazza con gli occhi da orientale non era cinese, come gli investigatori avevano ipotizzato in un primo momento: si tratta invece di una cittadina originaria dell’Est Europa di ventisette anni. L’identità è certa, ma gli inquirenti non intendono diffonderne il nome, segno che il giallo è soltanto all’inizio e i punti da chiarire riguardano non solo la morte, ma anche la vita della giovane donna, evidentemente altrettanto misteriosa della fine segnata dalla fame. Il referto del medico legale parla di «Cachessia terminale», esito di un gravissimo deperimento organico, punta estrema della malnutrizione. Una storia di anoressia non recente, ma che probabilmente è degenerata negli ultimi tempi. È stata tenuta a pane e acqua come una reclusa? Punita per uno sgarro? Più probabile che l’occultamento del cadavere sia l’atto finale di una storia triste, maturata in un contesto di degrado, nella difficoltà di fronteggiare una malattia che aveva finito per affettare anche la psiche. In un ambiente criminale, infatti, un corpo si fa sparire senza troppi problemi e se si infila in una valigia, si provvede a piombarla a dovere prima di gettarla in acqua. Chi si è disfatto del cadavere, avrà avuto le sue “ragioni” per farlo, ma non era certo un esperto, né - evidentemente - si è consultato con qualcuno più scaltro di lui. Qualcuno deve avere accudito la vittima, a modo suo. Come ha fatto la ragazza, che non soffriva di patologie fisiche, a ridursi letteralmente pelle e ossa (alta uno e settantatré, pesava poco più di 35 chili)? Eppure non presentava piaghe da decubito e, come già spiegato nei giorni scorsi, neppure segni di violenza. L’autopsia eseguita dal professor Giuseppe Fortuni ha escluso che la donna possa essere stata assassinata, anche se potrebbe essere stata ridotta allo stremo da qualcuno che la teneva segregata. A darle un nome e un volto sono state le tecnologie in uso agli specialisti del Gabinetto di polizia scientifica di Roma. Risolutivi sono stati la ricostruzione dei polpastrelli e il confronto delle impronte effettuato attraverso le regioni palmari delle mani. Il disegno papillare nel palmo avrebbe trovato riscontro in una precedente foto-segnalazione (per la carta di soggiorno? per l’identificazione in occasione di un arresto?) conservato nel sistema computerizzato Automated Palmprint Identification System, ( Apis) analogo all’ Afis. Nell’immagine corrispondente, conservata negli archivi della polizia, gli occhi dal taglio orientale della donna risaltano in un viso dai lineamenti regolari. Il pm Davide Ercolani e gli investigatori della Squadra mobile della questura di Rimini, al contrario di quanti ancora possono solo limitarsi a fare delle ipotesi, dati anagrafici alla mano, hanno in mano già un quadro più chiaro e sono al lavoro per muoversi di conseguenza: rintracciare chi ha avuto a che fare con la ragazza ed esigere spiegazioni.

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