L'Ubu parla romagnolo

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Il Premio Ubu è considerato tra i più autorevoli riconoscimenti del teatro italiano, fondato nel 1977 dal critico Franco Quadri che ogni anno viene assegnato attraverso un referendum al quale partecipano circa sessanta critici, studiosi ed esperti di teatro.
Tra i vincitori di quest’anno annoveriamo l’arboreto - Teatro Dimora di Mondaino, a cui è andato il Premio Speciale per i 20 anni della sua attività; ed Elena Bucci, attrice della compagnia Le Belle Bandiere di Russi.


Elena Bucci


Due mesi fa fu il premio “Eleonora Duse” riconoscimento che per un’attrice rimanda a una leggenda del teatro. Sabato è arrivato l’Ubu, già ricevuto nel Duemila, il premio della contemporaneità del teatro. Leggenda e presente si confondono e spingono la piccola grande Elena Bucci a indossare le ali libera sul grande teatro italiano, non su di un progetto “minore”. Un teatro che ha concepito sin dagli esordi in modo totalizzante da regista, interprete, drammaturga. Prima in solo poi con la compagnia Le Belle Bandiere e Marco Sgrosso. E se nel duemila l’Ubu le arrivò come attrice di “Riccardo III” di Claudio Morganti, oggi è un premio che onora l’attrice nelle sue variegate sfaccettature; unisce infatti le interpretazioni di “La locandiera”, “La canzone di Giasone e Medea”, “Macbeth duo”, “Bimba. Inseguendo Laura Betti”.


«Sono alcuni degli spettacoli dell’ultima stagione visti dalla giuria – precisa la vincitrice –, non tutti».

La romagnola infatti procede come rullo compressore; porta avanti repertorio e proposte originali, progetti suoi e di altri, instancabile. Ricorda il metodo di lavoro di compagnie antiche, quando i protagonisti facevano tutto. Intanto si gode questo arioso momento.


«È il mio primo giorno privo di impegni teatrali – ammette incredula –. Mi sento ancora stordita. È stato un periodo di lavoro pazzesco; questi riconoscimenti fanno piacere, specialmente perché premiano un percorso, hanno un senso. E sono rimasta soddisfatta dei tanti voti ricevuti».


Dica la verità, un po’ se l’aspettava?


«Sinceramente no davvero, anche perché il nostro modo di operare è sempre stato focalizzato unicamente al nostro solo lavoro; nel senso che non ci siamo curati di creare occasioni di invito per i critici».


Ritiene che il suo e vostro modo di procedere si rifaccia a quello delle compagnie di un tempo?


«Mi auguro che sia il modo di lavorare del futuro! Questa nostra agilità di inserimento di collaboratori capaci di adattarsi con duttilità a spazi e progetti, spero sia la forza del nuovo teatro. Il legame con il passato lo intendo secondo il teatro popolare di ricerca di cui parlava Leo (il maestro Leo De Berardinis); qualcosa cioè che arriva a tutto il pubblico, con modalità che si perdono nel tempo e che si rinnova sempre. Noto un pubblico di giovanissimi e anziani, ed è bellissimo vederli insieme e contenti».


Vede un pubblico in crescita numerica?


«Sì, mi sembra che tanta gente si stia riavvicinando a teatro, anche giovani. Forse perché trovano qualcosa che non hanno da altre parti, cioè una emozione dal vivo, di cui sono veramente protagonisti, non illusoriamente come può essere il protagonismo televisivo».


Lei è attrice e capocomico.


«Fin dall’inizio ho avuto una vocazione anche personale, un istinto progettuale e registico che ho sempre curato a fondo, da regista a drammaturga, oltre che da attrice. A volte sono arrivata alla “prima” dopo aver curato ogni cosa dello spettacolo, ma aver provato meno la parte».


Cosa le piacerebbe fare d’istinto per il teatro italiano?


«Una piccola rivoluzione per riportare in luce la sua enorme ricchezza. Diventerebbe una vita meravigliosa».


Elena Bucci e Le Belle Bandiere saranno al Bonci di Cesena il 30 marzo con “Prima della pensione” di Bernhard.


Fabio Biondi


Nella motivazione del premio all’Arboreto, questo viene descritto come un «centro di ricerca teatrale tra i più attivi e dinamici d’Italia, che sin dalla sua fondazione, nel 1998, riflette sul concetto di residenza, negli ultimi vent’anni divenuto sempre più centrale nel processo di creazione artistica. Rivolto ai giovani, è un laboratorio permanente che stabilisce un nesso diretto tra creatività e territorio, inserito com’è in un bosco di nove ettari, dove nel 2004 è stato costruito anche il Teatro Dimora, ora principale sede delle molteplici attività del centro».


Cosa significa per voi?


«Si tratta di un riconoscimento prestigioso che afferma la qualità e il rigore dell’attività ventennale dell’Arboreto – spiega il direttore artistico Fabio Biondi –. È una grande soddisfazione che riflette la nostra idea di aver sempre creduto nelle residenze creative come opportunità di garantire agli artisti le migliori condizioni di lavoro e di convivio per sperimentare e creare nuove opere. Il nostro è un luogo di sperimentazione dove è permesso anche il diritto all’errore, perché comprende e protegge la bellezza dei processi creativi che precedono il risultato finale dello spettacolo compiuto. Quello che ci ha positivamente sorpreso è ricevere centinaia e centinaia di messaggi non solo per complimentarsi per la vittoria, ma per confermarci il sostegno e la stima nei confronti del progetto. Abbiamo sentito quanto l’Arboreto sia amato da artisti, operatori, critici e studiosi teatrali».


Nei suoi ringraziamenti ha tenuto conto di tutti, dal Comune di Mondaino che ha sempre sostenuto le vostre idee fino ad arrivare agli stagisti, passando per gli artisti che vi hanno ogni volta scelti, con un’attenzione poi particolare per sua moglie (nonché alleata in questa avventura) Simonetta Piscaglia e a suo figlio Michelangelo. Risiede anche in tutti questi legami la forza dell’Arboreto?


«Assolutamente sì. Il Comune e la Regione hanno sempre creduto nel progetto permettendoci anche di costruire un teatro in mezzo al bosco (uno dei pochissimi costruiti ex novo nel secondo dopo guerra). La soddisfazione deriva inoltre dal fatto che un piccolo borgo di 1471 abitanti sia uno dei centri più attivi del teatro italiano. Intorno al nucleo di persone che lavorano con me (Simonetta Piscaglia, Paola Baldarelli, Paolo Brancalion, Margherita Gigante, Roberto Iacomucci, Francesca Giuliani e Linda Valenti) sono sempre fondamentali i ragazzi che arrivano come stagisti o con il servizio civile che per un anno ci accompagnano e seguono con responsabilità precise le iniziative. Non si tratta del lavoro di un singolo ma di un’intera squadra che ogni giorno fa andare il motore dell’Arboreto».

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