"Ecco perché l'infermiera è innocente"

Rimini

RAVENNA. L’arringa è cominciata da circa un’ora quando l’avvocato Stefano Dalla Valle si gioca tutto. In una mano ha una siringa che “carica” con dieci ml di potassio e nell’altra stringe un deflussore. «E’ identico - dice - a quello sequestrato dalla procura». In aula cala il silenzio e cresce l’attesa.

L’avvocato di Daniela Poggiali, stende un panno sul tavolo davanti agli occhi impenetrabili dei giudici di Corte d’Assise e spiega: «Vi dimostrerò che non si può andare contro le leggi della fisica. Iniettare potassio nel deflussore è semplicemente impossibile». Le immagini Rai “stringono” sulle mani ferme dell’avvocato che si improvvisa infermiere con il peso di un ergastolo da evitare sulla toga.

Ma il risultato non è di quelli sperati: parte del liquido cade sul tavolo, ma un’altra parte no «Ecco, per onestà intellettuale - dice l’avvocato - devo ammettere che un po’ è entrato. Ma solo poco». Daniela, impassibile come sempre, lo guarda a pochi centimetri di distanza prendendo appunti sul suo quaderno azzurro. Se quel deflussore sia “mezzo vuoto o mezzo pieno” lo scopriremo solo l’11 marzo prossimo, giorno della sentenza, ma è chiaro che il passo più suggestivo dell’arringa difensiva non riesce come dovuto. Ma l’arringa dell’avvocato Della Valle è anche altro: tre ore e mezza di accorata difesa «per ricostruire il caso Poggiali - avverte il legale - come non l’avete mai visto, ovvero “da dentro”, e con gli occhi di Daniela».

Tre ore che, per il penalista ravennate, portano a una sola inevitabile conclusione: «Daniela non è un mostro, non ha mai ucciso, non ha mai rubato e contro di lei non ci sono sufficienti prove per dimostrare il contrario, nonostante la stampa l’abbia già condannata da tempo per colpa di quelle foto choc che hanno fatto il giro del mondo».

L’orario della morte. Ma quali sarebbero allora i punti deboli dell’accusa? Dalla Valle parte dall’orario della morte. «Se l’iniezione letale le fosse stata fatta verso le 8.20, allora non si spiega un decesso alle 9.40, sarebbe dovuta morire prima». E poi, aggiunge: «Non è possibile che la Poggiali abbia riempito due fiale di potassio, le abbia iniettate, abbia cambiato il deflussore e poi sia uscita dalla stanza in appena cinque minuti come ipotizzato dalla procura».

L’autopsia. Ma l’avvocato Dalla Valle prova a gettare ombre anche sull’autopsia. Non prima di un passaggio autocritico: «la più grande ingenuità di questa difesa è stata quella di non aver nominato un proprio consulente, nonostante mi sia “spolmonato” per poterlo fare la mia cliente non ha voluto». Secondo Dalla Valle, infatti, a minare l’esito dell’autopsia ci sarebbe un vizio di fondo: «Hanno dato per scontato che fosse un omicidio, tralasciando la morte naturale». «Eppure nel cervello c’erano segni di un ictus pregresso. A quando risaliva? A un anno prima o a un’ora prima? Perché non lo hanno analizzato. Rosa Calderoni, inoltre, era anche diabetica e in quelle condizioni tendeva a una iperpotassemia naturale. Dire che fosse “grave, ma non a rischio di vita” è una falsità».

I veleni in corsia. Il problema, secondo il difensore, era che all’ospedale di Lugo il nome di un colpevole girava da tempo. Ed era quello di Daniela: «vittima di un clima che autogenerava paura». E le infermiere «invece di venire in aula a ricostruire la verità hanno solo cercato di seminare reticenze». E l’Ausl? Qui arriva l’attacco più duro: «Come possiamo credere a quei dirigenti? - si chiede Dalla Valle - persone che di fronte a certi sospetti, invece di avvertire subito la magistratura, fanno riunioni su riunioni e autopsie su autopsie che inquineranno irrimediabilmente il quadro probatorio».

Le foto choc e le statistiche. Poi le foto choc. «L’idea non fu di Daniela, le foto non le fece lei e non se le spedì lei. Questo è un dato di fatto, il resto sono bugie che la collega ha raccontato». «Mentre le statistiche - aggiunge - ci raccontano solo una verità parziale e senza basi scientifiche. E lo dimostra il caso di quell’infermiera che ha un tasso di mortalità superiore di 4 volte alla Poggiali». Sui furti in corsia taglia corto: «Solo veleni, non c’è una persona che l’abbia mai vista rubare».

Il pianto. L’ultimo passaggio è per Daniela. «Le è stato contestato anche di non aver mai pianto, di non essersi mai commossa. Tutte bugie. Nessuno di voi sa quante volte l’ho vista crollare in carcere». Poi l’appello alla corte e ai giudici popolari che Dalla Valle chiama per nome: «Vorrei tanto che al vostro posto ci fosse qualcuno con il coraggio di ammettere che non ci sono abbastanza prove per condannare Daniela all’ergastolo».

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