Truffata in Australia: addio visto e 8mila dollari, espulsa

Rimini

RIMINI. Ha poco più di trent’anni, voleva vivere e lavorare in Australia, un sogno svanito per colpa di un truffatore. Addio soldi, ma soprattutto addio visto. E senza il foglio di carta l’Ufficio immigrazione ha indicato senza tante storie la strada di casa, l’Italia. E’ la storia di Camilla Pivato, riminese di 31 anni, figlia di Stefano, professore universitario, scrittore ed ex assessore alla cultura. Camilla è a Rimini da giugno, frequenta a Urbino un master per potere insegnare italiano all’estero e il suo obiettivo, dopo l’estate, è quello di trasferirsi in Sudafrica o in Nuova Zelanda. Niente Australia. Neppure se i ricorsi andassero a buon fine.

A questo punto è necessario un passo indietro, al 2013, quando Camilla parte: il programma è quello di trascorrere quattro mesi dall’altra parte del mondo. «Lavoravo come assistente costumista, ero in pausa e mi sono detta: proviamoci».

In Australia matura la decisione di restare e di rinunciare al biglietto di ritorno. Troppo differenza fra la «gente arrabbiata in Italia» e la «gentilezza delle persone e la propensione ad aiutarti». Camilla resta in Australia.

La tappa successiva nella cartina geografica tocca Shepparton, nello stato di Victoria, dove la giovane riminese si trasferisce alla scadenza del visto vacanza-lavoro. Ne serve però un altro, di visto. E per essere in regola per altri dodici mesi, trova lavoro in una farm: «Impacchettavo frutta - racconta - dove abitavo c’erano più mucche, mele e pere che persone. Non credevo mi sarebbe piaciuto, invece è stata una esperienza incredibile».

Dopo 88 giorni, il rinnovo del visto è assicurato. Camilla si trova bene e resta nella farm. Dopo un anno in mezzo alla frutta, la burocrazia australiana prevede un percorso preciso. Il proprietario della farm offre un contratto («avevo l’incarico di manager delle risorse umane») che consente di restare in Australia anche dopo i due anni di vacanza-lavoro concessi dal governo. Si chiama sponsor. La questione non è però semplice: l’Ufficio immigrazione chiede garanzie, a partire dallo stipendio e dall’assicurazione sanitaria.

Messa sotto contratto per quattro anni, per Camilla cominciano i guai. Affida la sua pratica di rinnovo del visto a un avvocato iscritto all’Omara, l’ufficio di registrazione degli agenti dell’immigrazione e (soprattutto) gli mette in mano un assegno da 8mila dollari.

Per farla breve da quel momento tutto precipita. Il legale prima si fa sempre negare, poi tira fuori un sacco di scuse. Insomma, è un truffatore. Camilla si trova senza visto e una comunicazione dell’Ufficio immigrazione del 7 maggio di quest’anno: ha una settimana per presentare il biglietto per l’Italia e altre due per andarsene davvero. Più un cartellino rosso: per tre anni non tornare.

I passi successivi sono quelli dei ricorsi per «dimostrare che avevo subìto una truffa talmente evidente che qualunque giudice mi avrebbe dato ragione».

E ora? «Ora frequento il master a Urbino. Voglio andare a insegnare italiano in Sudafrica o in Nuova Zelanda. Continuo con i ricorsi perchè sono stata truffata. Capisco che l’Australia sia un po’ la terra promessa per tanti giovani, ma sono tanti quelli truffati. Capisco che per l’Ufficio immigrazione io non sia Camilla, ma sia un uno più uno e ci trattino come numeri, perchè siamo veramente tanti, l’aumento degli italiani in Australia è spaventoso. La mia storia uscirà sul quotidiano The Age e voglio mandare l’articolo al ministero della giustizia australiano». Camilla in Australia non torna, ma se può vuole aiutare qualche altro giovane a restare nella terra promessa.

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