I giovani bocciano lavoro e sindacati

Rimini

CESENA. E’ finito il tempo in cui il sindacato veniva visto come il motore di grandi lotte collettive per i diritti di intere categorie di lavoratori. Oggi ci si rivolge a questa realtà prevalentemente per chiedere aiuto per pratiche burocratiche. I diritti si pensa di poterli difendere da soli. E l’impegno dei giovani quali rappresentanti sindacali è ormai ridotto al lumicino.

E’ quanto emerge da una ricerca commissionata dall’associazione “Luciano Lama”, per esplorare quali sono le opinioni ed i comportamenti delle nuove generazioni nei confronti del sindacato e del lavoro. Sono state interpellate 794 persone tra i 18 e i 34 anni d’età, che vivono, lavorano o studiano nella provincia di Forlì-Cesena. Ieri mattina, nella sala conferenze dell’ex macello, in un incontro pubblico promosso dalla Cgil sono stati presentati i risultati dell’indagine condotta da Carlo Fontani, Giuliano Guietti, Domenico Guzzo, Alessandro Martelli, Aurora Ricci, Florinda Rinaldini, Nicoletta Santangelo e Salvatore Zappalà. All’appuntamento è intervenuto anche l’assessore regionale Massimo Mezzetti.

Tanti gli spunti interessanti, e per certi versi sorprendenti, di una ricerca in cui si sono messi coraggiosamente in luce anche vari aspetti “scomodi” per il sindacato. Una cosa che fa onore ai promotori dell’iniziativa: l’autocritica è una virtù assai rara e preziosa in questi tempi.

Una prima domanda mirava a capire cosa rappresenta il lavoro per un giovane di oggi. I più lo vedono come un mezzo per rendersi indipendenti dalla famiglia di origine e, a ruota, come un modo per soddisfare necessità economiche. Solo al terzo posto il concetto di lavoro come via per realizzarsi dal punto di vista personale, con un dato aggiuntivo particolarmente significativo: la percentuale di chi lavora e la pensa così è inferiore di quasi 7 punti a quella dei non occupati, segno che alla prova dei fatti c’è spesso una delusione rispetto alle aspettative.

Passando all’universo sindacale, il 45 per cento vi è entrato in contatto e il 30 per cento è oppure è stato iscritto a qualche sigla (ma questa percentuale sale al 45 per cento se si prende in considerazione solo il gruppo di chi lavora). Eppure, solo il 2,5 per cento riveste cariche di delegato sindacale o rappresentante della sicurezza sul luogo di lavoro.

Uno dei punti che più dovrebbero fare riflettere è il motivo per cui ci si rivolge al sindacato. Il 30 per cento lo fa per fruire di servizi di assistenza fiscale e il 20 per cento per esigenze di assistenza previdenziale. E’ invece ferma al 18 per cento la quota dei giovani che chiedono un intervento per ottenere la tutela dei diritti sul lavoro ed appena l’11 per cento chiede assistenza contrattuale. Questa limitata attivazione di quella che dovrebbe rimanere la funzione principale di un sindacato viene spiegata così in casa Cgil: «La precarietà delle situazioni lavorative degli intervistati potrebbe esserne la causa. E il contratto, quando c’è, viene spesso firmato senza pensare ad un controllo preventivo delle condizioni sottoscritte. E’ solo quando emergono problemi concreti che si cerca il supporto di esperti».

Comunque, quando il sindacato viene fatto entrare in azione, il 70 per cento dei giovani utenti esprime valutazioni positive. Un apprezzamento che scende al 40 per cento tra chi dà un giudizio astratto, in quanto non ha fruito personalmente dei servizi: è quindi chiaro che in molti di questi ultimi casi si tratta di una diffidenza aprioristica.

Le risposte più significative dal punto di vista sociale sono quelle relative al modo di tutelare i propri diritti. L’approccio predominante è individualistico e non conflittuale. Il 51 per cento pensa che fare bene il proprio lavoro sia il modo più efficace per vedere rispettati i propri diritti. Il 42 per cento affronta eventuali problemi parlando direttamente col datore di lavoro. Solo una minoranza percorre le strade più tradizionali, cioè prova a “socializzare” i diritti e ad affrontare le difficoltà uscendo dall’isolamento: con un coinvolgimento dei colleghi nel 25 per cento dei casi o rivolgendosi al sindacato (18 per cento degli intervistati). Sono numeri che la dicono lunga: anche lasciando perdere concetti consunti come la lotta di classe, tra le nuove generazioni sembra perdere smalto la volontà di fare rivendicazioni collettive. E’ sicuramente il cambiamento più eclatante rispetto al sindacalismo del secolo scorso.

Ma quali sono i limiti denunciati da chi non si sente ben rappresentato dai sindacati? Per il 52 per cento il nodo maggiore è che i giovani sono esclusi dalle posizioni decisionali. Il 47 per cento lamenta una strategia tesa a conservare il potere di chi è già occupato. Il 39 per cento rimprovera al sindacato la sua natura burocratica. Lo scarso contatto con il mondo atipico è un altro limite evidenziato. Infine, per il 16 per cento c’è un’attenzione eccessiva nei confronti dei pensionati.

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