Chiusa la nuova inchiesta: Pantani non venne ucciso

Rimini

RIMINI. Il Pirata è morto in una stanza chiusa dall’interno per l’azione prevalente di uno psicofarmaco rispetto alla cocaina, tanto da far pensare più al suicidio che al sovradosaggio accidentale: sostanze assunte, in ogni caso, senza costrizione. Sono le conclusioni della nuova inchiesta sulla fine del campione che «non ha fatto emergere elementi concreti a sostegno dell’ipotesi che Pantani sia stato volontariamente ucciso da terze persone». «Anzi, - si legge nella richiesta di archiviazione sul presunto omicidio per “infondatezza della notizia di reato” - sono risultati confermati e rafforzati tutti i dati già presenti nei processi già celebrati che convincono che la sua morte sia dipesa esclusivamente dalle sue stesse azioni, tanto da far ritenere più probabile un volontario suicidio che non una morte causata accidentalmente da una volontaria eccessiva assunzione di cocaina». Il procuratore capo di Rimini Paolo Giovagnoli, ha depositato le conclusioni dell’inchiesta-bis aperta dopo la presentazione di un esposto da parte dei genitori del ciclista nel luglio 2014, a più di dieci anni dalla tragedia. Una ventina di pagine che rappresentano la pietra tombale sulla ricostruzione complottistiche che non hanno trovato riscontri. Tutti i presunti nuovi elementi, spiega il magistrato, si sono rivelati incongrui o irrilevanti. Così come i dubbi sull’operato della polizia. L’unico scopo? «Verosimilmente cercare di cancellare l’immagine del campione depresso vittima della tossicodipendenza». La fantasiosa ipotesi dell’uccisione del campione si è rivelata, a ben guardare, una suggestione basata sul nulla. «Naturalmente – scrive Giovagnoli – la valutazione del pm si riferisce a concreti elementi indiziari emersi dalle indagini idonei ad essere utilizzati in procedimenti giudiziari, non a possibilità astratte come possono essere ipotizzate in letteratura e in articoli di cronaca giornalistica: resta il fatto che viene esclusa l’ipotesi di un’assunzione sotto costrizione». «Né la notizia di reato né gli esiti delle indagini – ribadisce il procuratore - hanno fatto emergere neppure il nome di un possibile sospettato, diverso dalle persone già processate, o di un ipotetico movente. Ma in realtà come si è illustrato nessun elemento concreto è emerso neppure a carico delle persone già processate».

«La porta dell’appartamento era ostruita da mobili dall’interno e dovette essere forzata per consentire ad una persona di entrare: nessuno poteva collocare degli ostacoli e poi uscire da tale unico accesso; tale circostanza non è stata in alcun modo posta in dubbio dalle indagini svolte nel presente procedimento e conferma quanto già ampiamente accertato nella pregressa indagine; gli ostacoli sono stati posti dietro la porta dallo stesso Pantani che quindi era solo nelle fasi precedenti la morte». Le risposte sono arrivate anche dalla scienza medica. «Anche la consulenza di parte del professor Avato (incaricato dalla famiglia Pantani, ndr) è stata del tutto disattesa dal consulente nominato dal pm, professor Tagliaro, che ha concordato con il professor Fortuni, consulente del pm all’epoca delle indagini del 2004, sulla assenza di ogni elemento che riconducesse all’opera di terze persone. Anzi le conclusioni del consulente Tagliaro sul ruolo principale nella morte del farmaco Trimipramina rende ancora più inverosimile che qualcuno abbia costretto con la violenza Pantani ad ingerire delle pillole di cui era difficile conoscere l’effetto senza una specifica preparazione farmacologica».

Tutto questo, aggiunge il procuratore, basta e avanza per formulare la richiesta di archiviazione. Eppure Giovagnoli va oltre per fare luce sulle ombre sull’operato degli investigatori della prima inchiesta fino a ritenere che «non vi siano errori od omissioni nelle indagini del 2004 che abbiano influito sulle valutazioni giudiziarie dei fatti. Tantomeno emergono elementi che facciano ipotizzare condotte dolose della polizia giudiziaria per alterare i risultati delle indagini».

Sotto la lente “critica” della nuova inchiesta sono passate tutte le questioni sollevate che alludevano più o meno apertamente a possibili depistaggi. «Posate, lavandino spostato, giubbotti, assenza del “bolo”, videoriprese parziali, testimonianze ritenute dubbie, violazione sigilli, speculazioni sulle immagini del luogo dei fatti e altro - si legge nella richiesta di archiviazione - più che indicare indagini suppletive utili a scoprire elementi di un delitto non indagato, tendevano essenzialmente a far dubitare della correttezza ed adeguatezza delle indagini del 2004 ed a far ritenere falsi i suoi risultati, verosimilmente per cercare di cancellare l’immagine del campione depresso vittima della tossicodipendenza e dell’utilizzo di psicofarmaci ed accreditare una immagine di una persona vittima incolpevole di violenze e complotti. In realtà come già detto va ripetuto che nell’esposto non è indicato nessun possibile (o sospettabile) autore del fatto né tantomeno accennato un plausibile movente e le indagini svolte che hanno analizzato tutti gli aspetti segnalati dagli esposti non hanno fatto emergere nulla in tal senso mentre al contrario hanno rafforzato gli elementi che portano a ritenere la morte effetto soprattutto dell’uso di farmaci, benché nell’ambito e a causa di un uso estremamente rilevante di cocaina». La droga resta concausa, le condanne degli spacciatori restano sacrosante. Il legale che rappresenta la famiglia Pantani, avvocato Antonio De Rensis, ha già preannunciato l’opposizione alla richiesta di archiviazione. «Aspettavo solo questo - commenta mamma Tonina su Facebook -: sentenza chiusa. Ora inizia la guerra». Sarà un giudice a dire l’ultima parola: quella del Pirata non sarà una fine senza fine come per Marilyn. Fugati dubbi, sospetti e illazioni potrà finalmente riposare in pace.

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