Cocoricò, si dimette De Meis

Rimini

RIMINI. Fabrizio De Meis, come era nell’aria da giorni, si dimette dal ruolo di general manager del gruppo Cocoricò. «Per la formalizzazione - spiega - ho atteso lo svolgimento dei funerali del ragazzo e ieri sera ho inoltrato la lettera alla mia società». Non ha l’aria di chi getta la spugna, anche perché è più battagliero che mai. Allo sfogo personale si accompagna, evidente, la provocazione. «Mi sento solo e senza strumenti nella lotta alla droga, privo di interlocutori nel vuoto della politica: ho fatto tanto, ma non è bastato: un ragazzo giovanissimo ha perso la vita, lo spacciatore stasera è libero di ripresentarsi all’ingresso senza che io possa rimandarlo indietro».

Nel locale ci sono ancora i segni della festa, a poche ore dai funerali, che i genitori della vittima avrebbero gradito vedere annullata. «Se fossi in loro ragionerei allo stesso modo e umanamente sto dalla loro parte: la nostra è stata una decisione complessa». Un imprenditore ha il dovere di pensare a contratti, penali, dipendenti. «Alla fine è prevalsa l’idea di sfruttare l’esposizione mediatica del momento per lanciare un messaggio forte ai giovani». Scesi dalle navette i ragazzi si sono trovati davanti, nel parcheggio, i cartelloni contro la droga griffati Cocorico. «Se anche uno dei giovani che ieri era al Cocorico o delle decine di migliaia che stanno condividendo il video girato nella notte e conosceranno la nostra nuova campagna di comunicazione lascerà la strada dello sballo per abbracciare il divertimento sano, allora il nostro modo di rispettare la tragica morte del ragazzo avrà un valore enorme». De Meis non accetta insinuazioni riguardo all’ambiguità dell’antica leggenda nera del Cocorico, che della trasgressione fa una delle ragioni del successo, e si irrita se si accenna all’ipocrisia che circonda la discussione sulla chiusura sì, chiusura no. «Ho grande rispetto delle istituzioni e accetterò e rispetterò qualsiasi decisione. Se mi si chiede, però, se la ritengo la soluzione, allora dico no. Non si può rispolverare un dossier che riguarda i due anni precedenti, sul pregresso, lo stesso che, volendo, avevano già a maggio. Si può decidere tutto, ma ci deve essere una motivazione». La questione, ovviamente, è il nodo della giornata.

De Meis e il suo staff riguardo alla morte del ragazzo non hanno niente da rimproverarsi. «Non esiste un collegamento con il locale. Non siamo collusi con la malavita né con gli spacciatori». La droga è un «cancro», un fenomeno «mondiale» dei ragazzi sono morti allo stesso modo «negli ultimi due tre anni a Marina di Camerota, Milano, Bergamo, Jesolo e a Rimini durante un’edizione della Molo street parade». De Meis rivendica l’impegno concreto per superare la fase della musica estrema, della trasgressione e dello sballo. «Sono partito dal rivoluzionare l’offerta musicale: oggi il locale non è più quello degli anni Novanta. Parallelamente ho adottato un piano operativo per cambiare la comunicazione contro ogni forma di sballo». Ma è sulla «autentica caccia agli spacciatori» nel locale, segno distintivo della sua gestione, che si sofferma a lungo. I carabinieri glielo riconoscono: senza la collaborazione del personale della sicurezza non ci sarebbero così tanti arresti (nel verbale, poi, risultano tutti catturati nel parcheggio...). Statistiche che adesso, paradossalmente, rischiano di ritorcersi contro. «Abbiamo adottato un sistema di telecamere che non ha pari in Italia, ci sono decine di occhi dentro e fuori la discoteca per permettere a tutti di vedere che cosa accade: non abbiamo niente da nascondere». La solitudine del manager, che per la verità nessuno ha attaccato, nasce dall’impotenza della politica. L’impulso per dare vita a un disegno di legge chiamato “Daspo per le discoteche” non ha ancora portato a niente di concreto a distanza di mesi. C’è rabbia per leggi permissive che consentono «al pusher di Città di Castello di essere libero anche di tornare al Cocorico oggi stesso senza che io possa impedirgli di entrare». Fa il parallelo con le “stragi del sabato sera”, fenomeno un tempo legato nell’opinione pubblica al mondo della notte, attenuato grazie alle campagne educative, alle leggi e alle forze dell’ordine. «C’è un muro invalicabile dove da una parte ci sono la politica, le istituzioni, le forze dell’ordine e dall’altra c’è l’imprenditore. Non siamo in contrapposizione: vogliamo tutti la stessa cosa». Giura di non parlare con nessuno in questi giorni e nega di avere santi in paradiso («Ho avuto cinque provvedimenti in pochi anni»), ma avverte una «grande preoccupazione per me e le circa duecento persone che lavorano qui e per le loro famiglie. Una chiusura forzata nel periodo di agosto dove si concentra più del cinquanta per cento del nostro fatturato potrebbe avere delle conseguenze imprevedibili. C’è il rischio di mettere a repentaglio anche l’attività stessa: non so se di fronte a un provvedimento esemplare ci sarà un futuro per l’azienda». Contro l’ondata emotiva che invoca, al pari del vescovo umbro, il “silenzio” della musica si schiera l’avvocato Alessandro Catrani, legale del gruppo. «La chiusura? Esistono autorità che valutano e decidono secondo legge e non a furor di popolo. E fino alla conclusione delle indagini, secondo la mia opinione, non sono in grado di decidere. Desidero semplicemente ricordare i grandi sforzi, sotto gli occhi di tutti, che da anni portiamo avanti, in tema di prevenzione di reati, di uso di droghe e di fatti comunque cruenti. Attività che ci hanno portato a interagire sinergicamente addirittura con la Comunità di San Patrignano e col mondo dello sport. Figure come Fabrizio De Meis andrebbero aiutate e non lasciate sole. Specie prima di comprovate responsabilità certe e inoppugnabili da potergli contestare secondo legge».

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