«Pd, chi non vuole le primarie è un vigliacco»

Rimini

FORLÌ. «Le primarie fanno paura, è per quello che tutti tranne il sottoscritto lavorano accanitamente in via ufficiosa per non farle, puntando a costruire un largo consenso per imporsi per inerzia che renda superflua conta. Ma questo sembra solo una vigliacca pantomima».

E’ Roberto Balzani, per il momento unico concorrente ufficiale alle sfida interna al Partito democratico per scegliere il candidato alla presidenza della Regione, in programma il prossimo settembre, ad animare dal proprio profilo facebook il dibattito politico in questo ultimo scorcio d’estate.

Corsa autentica. E, come al solito, lo fa senza sconti, accusando apertamente gli altri candidati in lizza di voler depotenziare la corsa fino a pilotarla verso una figura che goda di quella che l’ex sindaco di Forlì definisce la «benedizione romana» o, ancora, prefigurando uno scenario dove «la cucitura di una rete di grandi elettori in fluente, sia capace di esercitare una “moral suasion” (in questo caso, meglio sarebbe dire: dissuasion) sul partito». E il nocciolo della questione è proprio questo: Balzani chiede che le primarie siano autenticamente un mezzo per permettere alla base di decidere direttamente, senza filtri o forzature.

Rischio sicuro. «Questo passaggio - sottolinea il prof - è percepito correttamente come un rischio (per chi lo pratica): ma le primarie confermative degli accordi presi prima, non sono primarie. Sono plebisciti alla Napoleone III. E’ indispensabile, invece, che il risultato finale possa essere diverso da quello atteso o preconizzato o preparato dai vertici. Tutto qui». Non ci sono altri scenari secondo il docente universitari. «Altrimenti - conclude - è meglio la brutalità della decisione imposta, con relativa assunzione di responsabilità, naturalmente».

Il totem. «Il tema burocratico, in Italia, è decisivo. E non solo a livello nazionale. Le difficoltà incontrate da Renzi a Roma sono in parte il prodotto delle resistenze di un apparato sedimentatosi nel corso dei decenni, che guarda con sufficienza a governi la cui durata è, in genere, di un anno o due, se va bene. Non molto diversa la situazione nei Comuni o nelle Regioni - contestualizza Balzani - dove i dirigenti sono divenuti sovente il vero ceto politico protetto e permanente: alti stipendi, alte tutele, poca visibilità, molto potere (soprattutto ostativo)».

I volenterosi. Ma Balzani, reduce dall’esperienza amministrativa in Municipio, ritiene indispensabile «un’analisi fine del potenziale contenuto in questa notevole massa di dipendenti (pensiamo alla Regione, ad esempio). Ma sarebbe un errore partire da un “valzer degl’incarichi”. Si tratta di capire, caso per caso, chi ha voglia di lavorare e chi no; chi ha voglia di mettersi in gioco e chi continua a cercare viceversa il proprio padrino politico per fare i propri comodi in tranquillità; chi è disponibile a rimettersi in gioco per rispondere a funzioni o a bisogni collettivi, e chi fantozzianamente difende la targhetta di un ufficio. Con la differenza che dietro Fantozzi e la sua ignavia stava la maschera tragica di un italiano consapevole della propria condizione, nel bene e nel male. Dietro questi spesso sta solo l’arroganza di un potere acquisito “per meriti speciali”. Molto speciali».

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