«Non ho mai visto segnali di disagio. La nostra famiglia era splendida»

Rimini

FORLÌ. «Non ho mai visto disagio in mia sorella, non l’ho mai vista piangere, non credevo ne fosse capace. Eravamo una famiglia splendida». Lo detto ieri in aula il fratello di Rosita Raffoni, la 16enne che si è tolta la vita lanciandosi dal tetto del liceo Classico il 17 giugno 2014. Dopo che nell’udienza del 21 febbraio era stato Marco Martines, avvocato difensore degli imputati, i genitori di Rosita, Roberto Raffoni e Rosita Cenni, accusati di maltrattamenti fino alla morte e, solo il padre, di istigazione al suicidio, ieri è toccato alla pubblica accusa, rappresentata in aula dal sostituto procuratore della Repubblica Sara Posa, interrogare il giovane, oggi 23enne. Come richiesto dalla difesa e accordato dalla Corte d’Assise, presieduta da Giovanni Trerè, l’audizione si è svolta a porte chiuse. Il giovane ha ripercorso i rapporti con la sorella, da quelli più stretti quando erano piccoli, a quelli maggiormente conflittuali negli ultimi anni e mesi di vita di Rosita Raffoni, che in diversi scritti aveva avuto parole dure verso il fratello. «Non mi riconosco negli scritti di mia sorella, ho conosciuto un’altra persona» ha detto il giovane in un passaggio.

Scontro sui messaggi

Quella di ieri è stata l’ultima udienza dibattimentale, conclusasi con alcune ore di discussione tra periti di accusa e difesa su messaggi recuperati dal cellulare di ultima generazione che Rosita aveva sottratto al padre per tenere i contatti con amiche e amici e che la mattina della tragedia avrebbe ricevuto diverse conversazioni. La lotta tra accusa e difesa è stata su quando quei messaggi siano stati cancellati e quindi da chi.

Verso la conclusione

Il processo a Rosita Cenni e Roberto Raffoni va verso la sua conclusione. Il 3 maggio davanti alla Corte d’Assise è fissata la requisitoria del sostituto procuratore Sara Posa, mentre il 10 maggio toccherà all’arringa dell’avvocato difensore Marco Martines.
Il 15 le repliche e la camera di consiglio che dovrà portare alla sentenza di primo grado.

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