Mafia, a Ravenna 17 le aziende che sono a rischio infiltrazioni

Rimini

RAVENNA. Sono diciassette le aziende in odor di mafia che nel 2017 hanno tentato di fare affari nel Ravennate.

Un dato, quello in mano alla prefettura, che lascia stupiti soprattutto se si pensa che Ravenna è al secondo posto in regione in questa sgradita classifica, appena dietro Bologna che conta 20 aziende “stoppate” dall’ufficio territoriale del Governo in seguito alla informativa ricevuta della procura distrettuale antimafia chiamata a segnalare “anomalie” nel settore imprenditoriale.

Ma per avere un’idea della rilevanza del dato bisogna anche aggiungere che al terzo posto della lista c’è la provincia di Parma, ben distanziata con “solo” 8 aziende. Mentre il dato regionale complessivo parla di 58 imprese che non sono riuscite a entrare nella white list.

Dall’edilizia ai trasporti

In regione le imprese considerate sensibilmente vicine a capitali che potrebbero essere di provenienza illecita operano prevalentemente nel settore dell’edilizia e della movimentazione terra, ma anche nei trasporti e nei servizi.

L’ultima maxi operazione a luglio

L’ultima inchiesta che ha confermato la presenza della criminalità organizzata nel Ravennate risale appena allo scorso luglio, quando l’operazione Omphalos della Guardia di finanza (diretta dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli) ha portato all’arresto di 16 persone, ma in tutto erano 57 le persone indagate.

L’inchiesta svelò interessi della Camorra (soprattutto di natura immobiliare) tra il Ravennate e il Bolognese. In tutto furono 80 gli immobili sequestrati nella nostra provincia. Tra questi anche un appartamento a Ravenna, in via IV Novembre, e poi 5 negozi, 28 appartamenti, 30 magazzini e 16 autorimesse tutti situati nel comune di Russi. Si sarebbe trattato di una minima parte di un “tesoro” mafioso che faceva capo ad almeno sette clan camorristici: Millaro, Di Lauro, Scissionisti, Puca, Aversano, Verde e Perfetto.

Ogni clan avrebbe avuto la sua zona di riferimento e a Ravenna la speculazione immobiliare - secondo l’accusa della Dda di Napoli - era in mano al clan Puca di Sant’Antimo (Napoli). Ma ovviamente le operazioni di “ripulitura” del denaro, secondo l’accusa, sarebbero state portate avanti con colletti bianchi romagnoli. Nel caso specifico un faentino ai tempi direttore della filiale bolognese della Cassa di Risparmio di Ravenna, banca dalla quale è stato sospeso dopo il suo arresto.

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