«Non riaccendete il faro del duce»

Rimini

FORLI'. Si allunga la lista degli intellettuali contrari alla riaccensione del faro di Rocca delle Caminate. Nei giorni scorsi lo storico Marcello Flores aveva messo in guardia dal «maneggiare simboli» senza mettere in conto i rischi conseguenti, giudicando inopportuna la riaccensione.

Altri contrari illustri

Alla contrarietà espressa nei giorni scorsi dalla Fondazione Alfred Lewin e dall’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea, che hanno apertamente criticato la scelta dei consiglieri della Provincia di Forlì-Cesena che a inizio mese ha approvato all’unanimità la proposta della riaccensione, si è schierato il docente universitario Thomas Casadei, già consigliere regionale del Pd. «Quel faro è un monumento al duce, serviva solo ad annunciare la sua presenza in Romagna ed è indissolubilmente legato al suo nome. Perché accenderlo? – si chiede Casadei in un intervento pubblico sul proprio profilo Facebook –. Cosa diremo quando lo chiederanno i nostri ragazzi, che accompagniamo ad Auschwitz o nella via di Forlì dove fu compiuta la strage degli ebrei? Gli diremo che si vogliono attirare turisti? Per far vedere loro “i prodotti della storia”, come recita un dépliant diffuso da un gruppo di ristoratori di Predappio? Gli diremo: “Sì, sì, la memoria, ma qui si tratta di economia”? Si vuol mettere a profitto il fatto di aver dato i natali al fondatore del fascismo? E a quel punto, perché non fare una visita al megastore fascista in cui si possono vedere dal vivo gli squadristi che si salutano con “a noi”? È una fiera permanente del Ventennio quella che si vuole allestire un pezzo alla volta? Non facciamo di Forlì e delle sue vallate un posto di cui vergognarsi in un’Europa che sul riconoscimento delle proprie colpe ha costruito le sue democrazie e sta cercando di costruire la sua unità. No, non accendiamo il faro del dittatore».

Patrick Leech, ex assessore forlivese alla cultura, è docente dell’Università di Bologna che nella stessa Rocca ha ora un pezzetto di tecnopolo. Anche lui, a livello personale sulla sua pagina social, si esprime in maniera contraria: «Un faro si vede da lontano. Praticamente l’unica cosa che un faro fa è comunicare un messaggio semplice a persone lontane. Quale potrà mai essere il messaggio del faro della Rocca? Come si potrà mai dissociarlo dell’intento comunicativo originario, quello di segnalare la presenza di Mussolini? Da lontano, dalla riviera romagnola, come si potrà mai vederlo sprovvisto di questo significato, il “faro del Duce”? Da lontano, dalla visione del deputato di Calabria (il riferimento è al deputato Pd Giuseppe Berretta che ha presentato un’interrogazione in Parlamento sul caso, ndr), il senso sembra chiaro: che il territorio asseconda un’apologia al regime. Non sarà così, ma da lontano lo sembrerà. Il percorso lungo della promozione della Romagna come luogo significativo per la storia del ’900, intrapreso da diverse associazioni locali, deve trasmettere un messaggio chiaro e inequivocabile del suo punto di partenza critico-storico, antifascista e democratico. Il faro della Rocca, a mio avviso, comunica tutt’altro».

E l’Associazione partigiani?

L’Anpi regionale attraverso la presidente Anna Cocchio è stata chiara. Nei giorni scorsi sul quotidiano La Stampa in merito ha dichiarato: «Se è rimasto spento finora, deve continuare ad esserlo. L’accensione era legata alla presenza di Mussolini, che non merita certo di essere ricordato. Il faro rievoca la sua persona e l’Anpi non dimentica». Ieri è arrivato anche un no da Londra dove esiste una sezione distaccata della stessa associazione, il giornalista e scrittore romagnolo Alfio Bernabei, che là vive, scrive: «Sarebbe come fare un regalo ai nazi-fascisti nazionali e internazionali. Questa iniziativa equivarrebbe alla pubblicità al neon, presentando il fascismo come epicentro di salvezza (faro) per chilometri e chilometri senza neppure perdere un minuto delle ore notturne. Rocca delle Caminate è stato un luogo della vergogna, sarebbe un oltraggio alla memoria della Resistenza e un pezzo del nuovo revisionismo storico che con varie scuse vuole riverniciare a fresco i simboli della dittatura». Ma a Forlì l’Anpi che dice? Il presidente della sezione cittadina Vico Zanetti per ora cerca di cavarsela con una battuta : «Lo usiamo per il bat segnale? I simboli nemici si possono depotenziare usandoli in una maniera diversa da come erano stati concepiti, si può anche riaccendere se è per usarlo in un modo diverso». Di fatto Zanetti rimanda al presidente provinciale Tamer Favali che nonostante vari tentativi non è stato possibile contattare, ma che su un sito di notizie locali nei giorni scorsi non aveva opposto contrarietà alla scelta della Provincia, rimandando però a una data simbolo: quella del 18 marzo prossimo, con le celebrazioni per il partigiano Antonio Carini, trucidato proprio fra quelle mura.

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