Un marchio di qualità per la cacciagione locale

Rimini

SANTA SOFIA. Al lavoro per creare un marchio di certificazione per le carni di cacciagione del territorio con, ovviamente, tanto di disciplinare ad hoc. È fresca la polemica degli ambientalisti dell’Enpa sulla Fiera di caccia e pesca della scorsa settimana a Forlì, ma sul territorio da tempo è in piedi un discorso ben diverso, volto allo studio di un modo per trasformare in risorsa per l’economia montana quello che oggi o non lo è o costituisce anche un problema, vedi l’impatto degli ungulati sull’agricoltura locale.

La Regione nei mesi scorsi ha dato il proprio ok al piano di azioni per i prossimi anni del Gal altra Romagna che, fra i progetti più importanti, ha inserito quello per la creazione di una filiera della selvaggina del territorio certificata.

«Nell’ottica di salvaguardare, ripristinare e migliorare la biodiversità locale è necessario prevedere interventi di gestione della fauna selvatica presente nel territorio di nostra competenza, soprattutto in relazione ai rischi connessi all’alta densità di popolazione degli ungulati (caprioli, cervi, cinghiali, daini) nell’area dell’Appennino romagnolo e all’esigenza di attivare azioni di difesa e tutela delle produzioni agricole locali e più in generale dell’intera biodiversità vegetale e animale - dice il direttore del Gal, che ha competenza su 25 Comuni dell’Appennino cesenate e forlivese, Mauro Pazzaglia -. È però necessario considerare la fauna selvatica che ad oggi popola il territorio complessivamente anche come un’opportunità da gestire e valorizzare, in un approccio nuovo che non consideri tale risorsa unicamente come fattore problematico dell’area montana».

Nella Vallata del Bidente, in particolare, esistono già un macello comunale, quello di Santa Sofia, e anche strutture private, che possono lavorare e certificare, in una catena produttiva ad hoc, le carni cacciate. «Si tratta di creare un rete fra tutti gli interessati, cacciatori, ambiti di caccia, piccoli macelli stessi che avrebbero anche necessità di implementare la loro attività, enti pubblici, e ristoratori - continua Pazzaglia - per far sì che domanda e offerta si incrocino». Lavorare le carni dei capi cacciati in selezione, ovvero abbattuti seguendo le prescrizioni degli enti pubblici che pianificano la gestione della fauna, macellarli con tutti i controlli sanitari che ne garantiscano la salubrità, proporli nelle cucine locali e anche eventualmente commercializzarle. Questo è il progetto del Gal che certo ha bisogno di tempo per essere realizzato e magari anche di confrontarsi con una sensibilità sempre più critica rispetto a una attività come la caccia.

«La carne di selvaggina può essere considerata un patrimonio naturale - sottolinea ancora il Gal - e può costituire un’opportunità per promuovere sistemi di economia locale nel settore agroalimentare e turistico, ponendo attenzione alla formazione dei cacciatori, alla comunicazione e alla trasformazione del prodotto fino alla sua valorizzazione gastronomica nel territorio. Oggi si importa molta selvaggina da altri paesi e surgelata, quando le carni locali sono anche di maggior pregio, e lavorarle con la trasparenza e la cura necessaria porterebbe sicuramente un vantaggio alle comunità montane locali nonché al territorio».

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