«La nostra sfida in vetta al Kilimangiaro»

Rimini

FORLÌ. «La nostra marcia per arrivare in cima al Kilimangiaro, la vetta più alta dell’Africa, è partita tanti anni fa grazie alle suggestioni che il professor Germano Gimelli ci aveva instillato durante le lezioni del suo super corso, dove il nostro gruppo si è formato e cementato». E’ nel segno del doveroso omaggio a colui che considerano un “maestro” - «di sport ma soprattutto di vita», sottolineano - che inizia il racconto degli undici forlivesi che alle 7.25 del 29 settembre scorso sono arrivati ai a 5.895 metri del gigantesco vulcano spento che domina dalla sua vetta tutto il Continente Nero.

Zaino in spalla, i componenti della spedizione sono stati: Stefano Benzoni, 50 anni; Giovanni Biondini 54; Walter Donati, 55 e il figlio Stefano di 22; Alberto Farolfi, 59; Elisabetta Guidi, 46; Maurizio Panicali, 59; Remo Ragazzini, 68; Giovanna Raineri, 59; Andrea Sedioli, responsabile Gruppo trekking forlì, 48 e Sebastiano Strano, 52. «Ce l’hanno fatta perché questa impresa che richiede pazienza e umiltà era già nella loro testa», sottolinea lo stesso Gimelli, 81 anni da compiere il prossimo 6 gennaio e reduce l’anno scorso dal 50° anniversario del suo corso ospitato nelle palestre della Polisportiva Edera. «In questi casi il lavoro mentale, dopo quello fisico che mi vede seguire queste persone ormai da anni, è fondamentale per ottenere il meglio dalle proprie forze fisiche. Non a caso il fattore psicologico è stato determinante nell’ultima fase della preparazione così come l’ultima tappa della scalata».

«L’ascesa ha poco di alpinistico ma non per questo è meno insidiosa - sottolinea Alberto Farolfi, organizzatore e costante punto di riferimento della spedizione -. La difficoltà nel calibrare gli sforzi quando si è in alta quota e gestire il proprio fisico, dal cibo all’acqua, è uno degli ostacoli maggiori e se si sbaglia qualcosa o l’organismo non riesce ad adattarsi nel poco tempo disponibile allora i problemi possono essere gravi».

«Il professor Gimelli - gli fa eco Stefano Benzoni - ha avuto la bontà di seguire la nostra preparazione, con allenamenti specifici, anche alla fine del suo corso a giugno». «Non so perché - riprende proprio il docente di educazione fisica - ma quella montagna ha esercitato sempre un fascino notevole nella mia fantasia giovanile al punto che attorno ai 40 anni avevo quasi preparato il viaggio che però ho dovuto annullare. Probabilmente ho finito per trasmetterlo ai miei allievi». Ecco che allora il gruppo di “discepoli” organizza una sorta di omaggio per “riscattare” ciò che il loro insegnante non è riuscito a fare. «Possiamo dire che è andata così - conferma Farolfi - ne parlavamo da anni e poi la scorsa primavera abbiamo dato il via all’organizzazione con relativa preparazione fatta di due uscite mensili con progressioni in quota partendo dal nostro Appennino per poi salire ad oltre 3.000 metri con soste in rifugio. Varie le camminate da San Martino a Rocca delle Caminate con gli zaini in spalla». Spedizione spartana. «In marcia dalle 7 alle 8 ore di media al giorno - riprende Benzoni - acqua prima bollita e poi potabilizza per evitare problemi, sonno ridotto per sfruttare anche le ore notturne per camminare come alla vigilia dell’arrivo in vetta e igiene personale di fortuna, visto che i campi tendati, allestiti ogni giorno, offrivano ben poco». Sacrifici per raggiungere quella vetta che è stata, sottolineano i protagonisti, «il successo autentico di tutto il gruppo».

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