«Ci ho messo la faccia, il "Ridolfi" aprirà»

Rimini

FORLÌ. «Il nostro obiettivo realistico, una volta assolti tutti gli adempimenti burocratici, è aprire il “Ridolfi” il primo gennaio 2017 con i voli passeggeri in attesa di chiudere un importante accordo a lungo termine sul fronte dei cargo». E’ un Robert Halcombe pacato, all’apparenza sereno, che pesa bene ogni singola parola quello che ci riceve nella sala riunioni di “Air Romagna”, a pochi metri di distanza da quella pista sulla quale dal 19 settembre 2014, giorno del parere favorevole di Enac all’offerta dell’imprenditore a stelle e strisce, si dice tutto e il suo contrario.

Il manager statunitense, amministratore unico della società che si è aggiudicata la concessione trentennale dello scalo, parla a ruota libera, col chiaro intento di rispondere a tutti coloro che in questi mesi ne hanno fatto - a torto o a ragione - il principale responsabile della mancata riapertura della pista. Al «game over» sentenziato dal sindaco nei suoi confronti la replica è semplice: «Mi spiace che Drei la pensi così. Fin dal primo giorno ho cercato di incontrarlo anche se una piena sintonia non c’è mai stata. E non so perché». A chi vorrebbe che Enac lo mettesse con le spalle al muro risponde: «Mai avuto comunicazione in tal senso. Enac, come me, vuole che questo aeroporto apra e la fiducia che ha riposto in noi è figlia della bontà del nostro progetto». Rimane a bocca aperta quando, a tal proposito, gli si ricorda della mancanza di un piano industriale, chiesto ripetutamente da Municipio e sindacati. «Ma come? - esclama - Il piano c’è e lo abbiamo anche descritto ma dobbiamo chiarire un aspetto: non posso certo rivelare le mie strategie per poi farmelo rubare da altri. Negli Stati Uniti quello che voi chiamate “business plan” è considerato una proprietà intellettuale dell’imprenditore, da tutelare e non certo da condividere con tutti».

La domanda, però, è sempre una. Perché il “Ridolfi” rimane ancora chiuso?

«Siamo davanti ad un progetto unico in Italia e in Europa, sul quale ci siamo scontrati e ci stiamo scontrando con una burocrazia disarmante nella quale voi italiani siete dei maestri. Pensate che ci ho messo 6 mesi per ottenere una chiave». Quella che apre la porta automatica che dall’esterno introduce alla grande sala dell’aerostazione e del cui tenace “recupero”, grazie ad un blitz a Roma, Halcombe va particolarmente fiero.

Non solo. «C’è un vero e proprio labirinto di leggi che richiede tempo e lavoro per non fare errori. Ecco, questo vorrei ricordare a tutti coloro che ci criticano: l’enorme complessità di questa sfida. A dir la verità l’area ci è stata di fatto assegnata solo alla fine del 2015 ma fino a gennaio di quest’anno ero molto deluso. Poi c’è stato un significativo cambio nel personale e in questi mesi abbiamo fatto molto». Non dimenticando, sottolinea il manager Usa, che «su questo scalo gravava una procedura fallimentare (quella della Seaf ndr) che, se possibile, ha complicato ancora di più le cose».

Quanto ha investito finora?

«Un milione di dollari con il mio “Sovereign Group”». (La società con la quale commercializza carburanti ndr).

Ma una volta superati questi ostacoli si può veramente pensare a tornare a volare?

«Il manuale dello scalo è stato consegnato, ci è stato assegnato il certificato di aeroporto che sarà operativo quando il puzzle burocratico avrà ogni pezzo al suo posto, contestualmente è stato aperto il certificato di “handling”, che dà la possibilità al gestore di chiudere contratti con le compagnie aeree».

Perché allora rimandare all’ultimo minuto l’assemblea dei soci di “Air Romagna” del 26 luglio scorso, creando ulteriore allarme?

«Sei giorni prima di quella data mi è stata imposta una modifica al bilancio, per la quale ho dovuto tradurre e far controllare le nuove carte ai miei avvocati. Avrei violato la legge se mi fossi presentato ai soci con i documenti non a posto».

Eppure sempre il sindaco Drei ha chiesto ad Armando De Girolamo e Calisto Maurilli (che detengono rispettivamente il 5 e il 3 per cento delle quote) di rilevare la sua parte o altrimenti denunciarla per danni.

«Come si dice da voi in Italia quando qualcuno impone ad un altro di vendere qualcosa che gli appartiene?», ironizza per un attimo Halcombe tornando però a proporre le proprie ragioni che, dice, vedono coincidere i suoi interessi e quelli dei soci - «per i quali la mia porta è sempre aperta» - con quelli del territorio. «Detengo una licenza per vendere carburanti e al contempo ho la concessione di 30 anni per un aeroporto. Rappresento un caso unico. E’ così difficile capire che sul “Ridolfi” possiamo creare interessi e reddito capaci di cambiare l’economia dell’intera regione? Ho detto da subito che non mi interessa fare la guerra agli altri scali, ma qualcuno mi deve spiegare perché sono in tanti a non voler vedere riaperto questo aeroporto. Ogni volta che apertamente si seminano dubbi sul futuro dello scalo si crea un clima di sfiducia in quegli investitori che vorrebbero venire a Forlì. E ce ne sono. L’ultimo in ordine di tempo per un grosso progetto di catering. La cosa mi risulta ancora incomprensibile. Se “Air Romagna” fallisce per questa pista non ci sarà futuro anche perché il nostro processo di certificazione è stato aperto prima del 2016, tutti quelli che verranno dopo dovranno affrontare una nuova normativa europea molto più complicata. Non dimenticando che il processo di insediamento di enti come Vigili del Fuoco o Polizia di frontiera si allungherebbe a dismisura. E non parliamo poi del nuovo bando, sarebbe a dir poco complicatissimo. Bisogna invece cooperare tutti insieme, politici compresi, e invece di farci la guerra dire: “Yes we can”».

Chi è che l’ha delusa di più in questi mesi?

«Sicuramente me stesso. Dai miei genitori ho imparato a lavorare duro e a non fermarsi fino a quando non si raggiunge l’obiettivo. Sono arrivato in Italia perché in questo paese ci sono le mie radici dal ramo materno della famiglia. In questo progetto ci ho messo la faccia, la mia credibilità e le firme sui documenti. Ho gestito, e con successo, altri aeroporti. Non posso pensare di non riuscire a risolvere la situazione»

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