«Lo spreco di cibo costa 8,4 miliardi di euro all'anno»

Rimini

FORLIMPOPOLI. Dalla A di “artusiano” alla S di sprecato, fino alla Z di zero. In mezzo ci sono altre 52 parole che il professore universitario inventore del Last Minute Market, e già Premio Artusi, Andrea Segrè ha analizzato per comporre un attuale vocabolario che spieghi il rapporto con il cibo, oggi. Semplicemente “Cibo” è il titolo del volume edito da Il Mulino, che l’ agro-economista, professore all’Università di Bologna presenterà oggi alle 19 a Casa Artusi insieme al semiologo Paolo Fabbri. Tutti parlano di cibo e fresca è ancora l’ubriacatura del 2015 che ha ruotato intorno all’Expo. Ma cosa resta di tante parole? Un senso vago di confusione sicuramente, non poca superficialità diffusa, senza dubbio. Se è vero che Forlimpopoli nel nome di Artusi di cibo parla da vent’anni, e ha cominciato a farlo quindi in “tempi non sospetti”, è anche vero che intanto le parole del cibo continuano a mutare, si modificano di senso, a volte si ribaltano. Il docente dell’Ateneo bolognese propone una carrellata di aggettivi che raccontano la nostra relazione con il cibo, nella speranza di fare chiarezza sulla cultura alimentare e aiutarci a recuperare il diritto al cibo. Partendo dall’aggettivo “artusiano” non a caso, perché il buon Pellegrino eroe di casa alla festa, secondo Segrè aveva praticamente... già detto tutto. Quello che si è aggiunto nei 100 anni successivi e più sullo stesso tema, a suo parere raramente è degno di nota e soprattutto rappresenta una reale novità. Nella lettura di Segrè la “lezione” di Artusi fu quella della cucina del “quanto basta”, ovvero mangiare al meglio senza esagerare o sprecare, già di per sé un «obiettivo equo e sostenibile» dice Segrè. Perché in sostanza Artusi sostiene quel che ora da più parti si ribadisce: la necessità della sufficienza alimentare, della sobrietà, della semplicità, dello sforzo per annullare gli sprechi. Alla lettera A c’è anche l’aggettivo “avanzato”, spiegato in una accezione non negativa, perché, come spiega Segrè «avanzare significa anche andare avanti». Se c’è avanzo, ragiona il prof, vuol dire «che qualcosa si è consumato e che era troppo». Ebbene ciò che resta può avere una seconda vita, essere utile a qualcosa di nuovo.

Ben altra cosa è sprecare. «Agli italiani lo spreco di cibo costa 8,4 miliardi di euro all’anno, 6,7 euro a settimana per famiglia, per 650 grammi di cibo sprecato» calcola Segrè.

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