I cittadini esasperati: «Non sappiamo più come difenderci»

Rimini

FORLÌ. Il salone della parrocchia di Carpinello è grande e capiente, ma a contenere tutti i cittadini che lunedì sera lo hanno affollato per assistere all’assemblea pubblica sul tema della sicurezza nei quartieri del forese, proprio non ci riesce, sono centinaia.

Dentro non c’è più posto per uno spillo, sintomo dell’estremo disagio, della paura e della rabbia che monta nelle periferie forlivesi all’aumentare costante dei furti in aziende, negozi e abitazioni private. Una «fortissima escalation di fenomeni che getta la nostra popolazione nella più profonda preoccupazione» ha candidamente ammesso il sindaco Davide Drei confermando come «negli ultimi mesi siano aumentate esponenzialmente le segnalazioni di episodi e le richieste di fare qualcosa al più presto per contrastarli».

Un appello accorato dal quale sono nati prima riunioni emergenziali al tavolo del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, poi l’idea di raccogliere in un confronto aperto alla cittadinanza, le voci e i problemi di chi sui quartieri ci vive, provando a dare loro informazioni e risposte. L’incontro di lunedì, appunto, al quale hanno portato le proprie istanze 6 comitati di quartiere (Carpinello, Pievequinta-Caserma-Casemurate, Barisano, San Leonardo, Borgo Sisa, Villa Selva-Forniolo) con i quali si sono confrontati non solo il sindaco, ma anche il vice prefetto Raffaele Sirico, il questore Salvatore Sanna, il maggiore dei Carabinieri Gianluigi Di Pilato, e i due deputati forlivesi Marco Di Maio e Bruno Molea.

Le richieste. Esasperazione, sensazione di essere abbandonati dalle istituzioni, voglia di potersi difendere e certezza della pena da applicare ai colpevoli dei reati. Sono questi i filoni che accomunano le richieste dei quartieri che si sono declinati in richieste specifiche: più illuminazione notturna riattivando molti dei lampioni spenti dall’estate scorsa; una videosorveglianza con telecamere poste su incroci e punti strategici delle strade di maggiore deflusso quali la Cervese, maggiore raccordo e scambio di informazioni tra cittadini e forze dell’ordine.

Ronde e militari. Due, però, le domande-tormentone espresse a più riprese e ad alta voce. Come possiamo difenderci? È possibile utilizzare l’esercito a presidio dei territori?

Alla seconda la risposta secca è: «No». Lo dicono chiaramente Di Pilato e Sanna: «Ce lo chiedete da tempo, ma il Governo pone i militari a presidio di luoghi ritenuti a rischio terrorismo internazionale, come di recente Ravenna, nelle città metropolitane e contro il crimine organizzato. Non qui e non per questi casi a fronteggiare i quali non sono neppure preparati. E poi non sono preparati a svolgere compiti di controllo contro la criminalità. Meglio ottimizzare le forze che ci sono già e la disponibilità per farlo c’è». E il vice prefetto va ancora più diretto: «Ci sono vincoli giuridici precisi, non dite parole al vento, generano solo false illusioni».

Presidio di vicinato. E le “ronde” o la vigilanza privata? «Le guardie giurate non possono intervenire né sarebbero efficaci - spiega Sanna - e le ronde le avete mai viste? A Milano funzionano, a Torino hanno subito chiuso. Se volete, provateci, a Bologna il prefetto s’è detto disponibile, ma attenzione a girare in gruppo coi bastoni con fare minaccioso, non travalicate i limiti dell’ordinamento». Meglio, allora, il controllo di vicinato caldeggiato da Sirico, inteso come mutuo aiuto tra abitanti della stessa zona e costante scambio di informazioni con Carabinieri e Polizia. «Attenzione a commisurare reazione ad offesa ricevuta - spiegano in coro - non oltrepassate voi i limiti, l’importante è che segnaliate a noi e denunciate tutto e tempestivamente. Anche i tentativi di intrusione, i rumori, le auto sospette: non abbiate timore a farlo poiché interverremo noi. La collaborazione è basilare».

La pena. Di Maio e Molea, infine, hanno risposto al timore che chi delinque non abbia, poi, una pena adeguata. «La legge non prevede certo il rilascio immediato, ma quello della sospensione della pena è un problema vero: con la riforma del codice penale appena approvata dalla Camera si alza ora la pena minima da uno a tre anni e questo limiterà la discrezionalità del giudice».

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