Sting e Shaggy il 5 agosto in concerto a Cattolica

«Jamaica say you will» cantava al suo debutto Jackson Browne nei lontani anni 70. Eh! Ora, Mr. Boombastic alias Shaggy e Mr. Police alias Sting evidentemente hanno le spalle forti. E quindi hanno retto abbastanza bene le feroci critiche che hanno massacrato la loro collaborazione sfociata nell’album “44/876”: il titolo deriva dall’accostamento dei due prefissi telefonici: 44 per l’Inghilterra, patria di Sting, e 876 per la Giamaica, patria di Shaggy. Ma, così come non esiste uno Stato che abbia per prefisso il numero completo, così questo disco, per la critica nazionale e internazionale, non aveva nessuna ragione di vedere la luce.

Sting lo aveva detto subito, alla presentazione: nessuna pretesa di compiere un’originale operazione culturale, di alto profilo, come fu (anche inconsciamente) il rock’n reggae bianco inventato dai Police negli anni 70. Il – di nuovo – biondo platino Gordon Mattew Sumner, questa volta non ha voluto pungere come da nome d’arte (sting vuol dire pungiglione): ha candidamente ammesso che voleva solo divertirsi. E a guardare i video girati con il suo compagno di avventura, il 50enne giamaicano Orville Richard Burrel, conosciuto con lo pseudonimo di Shaggy, il 67enne “English gentleman” si è assai divertito, giustificandosi così: «Per me la cosa più importante nella musica è la sorpresa, e tutti sono stati sorpresi da questo disco».

Disco che è uscito in aprile ma i due già si erano visti esibirsi insieme in febbraio sul palco dell’Ariston al Festival di Sanremo. E poi ai Grammy Awards dove avevano presentato un simpatico filmato con James Corbyn per uno speciale karaoke nella metro della Grande Mela, dove erano stati presi a… morsi dagli avventori del vagone in cui si erano esibiti: tutto preparato, ma tutto molto divertente, in stile newyorkese.

Registrato fra Giamaica e New York, il disco è stato prodotto dallo stesso ex Police, con la collaborazione di vari musicisti esponenti del genere reggae quali Robert Shakespeare del duo Sly & Robbie, Aidonia, Morgan Heritage, Agent Sasco, oltre ai fedelissimi Dominic Miller e Brandford Marsalis.

Ma la miscela British-Jamaica poteva funzionare ai tempi dell’ex spia inglese Ian Fleming, ritiratosi nella sua bellissima villa “Goldeneye” sull’isola caraibica, nella quale scrisse i migliori romanzi di James Bond. Qui invece, lontano dalle esplosioni dei film di 007, la combinazione sembra implosa su se stessa. I brani passano poco per radio, meno ancora in tv. Insomma, qualcosa non ha funzionato. Troppo easy-listening, si sarebbe detto una volta.

Diceva Montanelli: «Comincia parlandone male e finisci parlandone bene». Sicché, dopo quelli negativi, i pareri positivi parlano di una coppia di comunicatori eccezionali che fondono due tonalità riconoscibili e contrastanti, il flusso morbido di Sting che scivola sui ritornelli e le sferzate dancehall di Shaggy che tengono in piedi il ritmo. Esperimento o furbata? «Gioia musicale in puro stile giamaicano», scrivono i più benevoli. E in effetti ai concerti la gente si diverte, presa in mezzo tra due voci iconiche, la drum-machine anni 90 e un’atmosfera pop-reggae da cocktail illimitati in un resort caraibico. Una magia di suono e melodie che nessuno sa spiegare. Ma che piace a tutti.

Come essere in vacanza. E dove, se non nella vacanziera Romagna, il melting pot Shaggy-Sting può funzionare? Minestra riscaldata? Sarà, ma qui siamo abituati ai passatelli in brodo a ferragosto: vuoi mettere!

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