«Legacoop Romagna ha retto alla crisi con professionalità e coesione»

RAVENNA. Mario Mazzotti, dal novembre 2015 direttore generale di Legacoop Romagna, professa ottimismo e positività alla vigilia del congresso in programma venerdì dalle 8.30 a Cesena Fiera.

Quali sono le condizioni di salute di Legacoop Romagna?

«Arriviamo a questo appuntamento dopo un percorso di consolidamento e qualificazione del lavoro associativo di Legacoop Romagna condotto negli ultimi 5 anni. Ci presentiamo con una presenza radicata in tutti gli ambiti dove operiamo, vicina alle imprese e alle basi sociali, capace di fornire oltre alla rappresentanza un’ampia gamma di servizi alle imprese in termini di quantità e qualità grazie alla costituzione di Federcoop Romagna. Un lavoro ottenuto con la ricerca della massima partecipazione delle cooperative associate e con l’impegno di una struttura snella e sobria ma efficiente».

Un cambiamento passato attraverso anni difficili.

«I risultati raggiunti non erano scontati, abbiamo attraversato un periodo di grave crisi economica soprattutto nel settore dell’edilizia e il suo indotto. Crisi purtroppo non ancora conclusa, che ha portato ad un ridimensionamento consistente nel numero delle imprese non solo cooperative e ad un calo degli addetti del 50% su scala nazionale».

Quale situazione state seguendo adesso con più attenzione?

«La Cmc, attualmente impegnata attraverso gli advisor incaricati e la propria direzione a predisporre un piano di ristrutturazione da completare entro i primi di aprile. Prospetto che sarà presentato al Tribunale e ai creditori e che ci aspettiamo possa confermare la presenza nel settore di una azienda rinnovata in grado di continuare a svolgere quel ruolo nazionale e internazionale che le compete».

Come si fa a ripartire?

«Occorrono scelte politiche nazionali che aiutino il settore, c’è un divario infrastrutturale da colmare con lo sblocco delle opere attualmente ferme; un codice degli appalti da modificare per accelerare l’iter di approvazione e cantierizzazione. C’è bisogno dell’intervento pubblico per far sì che i pagamenti dei lavori effettuati siano garantiti nei tempi giusti e, nel complesso, un piano straordinario da mettere in campo per il settore».

Il movimento ha comunque dimostrato di tenere bene.

«Ci presentiamo con oltre 400 cooperative associate, numero pressoché invariato rispetto al 2015, e un incremento degli occupati di circa il 3% per un valore della produzione che nel 2017 è stato pari a oltre 6 miliardi e 500 milioni; risultato confermato anche nel 2018, al netto delle difficoltà della Cmc. L’agroalimentare cresce del 2,2% per gli occupati e del 6,4 nella produzione, così come servizi e sociale segnano un +3,5 nell’occupazione e il +6 nel fatturato. Calano gli utili (-10%) nelle cooperative sociali che, pur in salute, si scontrano anche con la riduzione della marginalità».

Quali sono i prossimi obiettivi?

«Vogliamo portare tutto il movimento a vincere la sfida dell’innovazione, facendo in modo che la rivoluzione digitale non comporti la perdita di occupazione ma semmai induca a costruire nuove opportunità. C’è bisogno di mercati aperti e liberi contro la tendenza al protezionismo. Le prossime elezioni europee saranno uno spartiacque importante per il nostro futuro».

Che ruolo volete giocare?

«La nuova governance della Lega vedrà una maggiore responsabilizzazione degli organi dirigenti con direzione e presidenza ridotte nei loro componenti. Avremo sempre un presidente e un direttore generale col consolidamento dei presidi territoriali e un peso maggiore ai coordinatori provinciali per intensificare il rapporto con le associate».

Qual è la vostra idea di assetto territoriale?

«Puntiamo ad una Provincia unica che abbia poteri simili a quelli della Città metropolitana facendo tornare alle urne i cittadini per la sua elezione. Nel frattempo quelle attuali – la cui mancanza si è fatta sentire in vari ambiti, dalla formazione alla viabilità – potrebbero stipulare un accordo di programma per gestire tra loro le competenze assegnate e fare un piano strategico nell’ambito dell’area vasta. Sarebbe un segnale importante che valorizzerebbe la Romagna come territorio baricentrico e strategico e aiuterebbe il mondo delle imprese e del lavoro».

Territorio che, però, si è dimostrato anche fragile.

«Il tema delle infrastrutture resta centrale. È bastato il blocco dell’E45 e il tragico incidente sulla Ravegnana per confermare la nostra debolezza. Per questo dobbiamo rilanciare il Corridoio adriatico, impropriamente accantonato, che rappresenta l’asse fondamentale del collegamento Nord Sud. Siamo anche una realtà che sta pagando più di altri i cambiamenti climatici e necessita di interventi per contenere frane e piogge. Per questo abbiamo proposto un fondo regionale alimentato da una quota di proventi lasciati al territorio dai gestori della rete autostradale e da una parte degli oneri di urbanizzazione. È necessario dare certezza ed esecutività entro l’estate ai bandi per approfondire i fondali e rifare le banchine del porto di Ravenna. Bisogna pensare a un sistema aeroportuale a rete, con le varie vocazioni, nel quale trovi spazio il “Ridolfi” e ad un sistema fieristico qualificato. Il progetto dell’Ausl Romagna, poi, deve essere parzialmente corretto nella gestione aziendale: vanno rilanciati i Distretti sanitari come luoghi di integrazione tra sociale e sanitario, va specializzata la rete dell’assistenza ospedaliera e la Regione deve dimostrare maggiore attenzione alla qualificazione della sanità romagnola garantendo risorse per ammodernare strutture e tecnologie. Per raccolta e smaltimento dei rifiuti vogliamo giocare il nostro ruolo nel processo di liberalizzazione dei servizi; abbiamo partecipato alla gara di Atersir per il territorio di Ravenna e Cesena costituendo una Ati con Hera. In questo ambito le nostre cooperative sono diventate un soggetto imprenditoriale. Guardiamo, infine, con attenzione all’esperienza di Alea, per la quale l’impegno delle nostre associate è stato costante».

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