Per lei l’ufficio anagrafe “dice” quasi 69, con ben 52 anni di lavoro sulle spalle (altro che quota 100 qua!), ma avrebbe proseguito ben volentieri: «Ho iniziato a 16 anni come impiegata a Milano: avevo fatto le scuole commerciali e grazie a un’inserzione sul Corriere della Sera mi hanno chiamata a casa. Allora era da sogno, il lavoro c’era, mica come oggi… E non mi sarei fermata neanche adesso perché fisicamente sto bene e di lavoro ce n’era parecchio, ma sono in pensione già da otto anni e ho deciso che non era il caso di morire dietro il banco».
Come è nata la pescheria-rosticceria?
«L’aprì mia mamma Amalia Casadei nel 1976, rientrando da Milano dove si era trasferita nel 1961 con mio padre Enzo. Lei era figlia e sorella di pescivendoli e con papà decisero di cambiare destinazione al negozio di generi alimentari che la famiglia di lui conduceva già da fine ‘800 e che avevano affittato per andare in Lombardia: mamma aprì quella che era una delle prime, se non la prima, pescheria-rosticceria in assoluto sul territorio. Io vi sono entrata nel 1992 licenziandomi dall’Enel (la pazzia evidentemente l’abbiamo nel Dna) e sono sempre rimasta unica titolare: fino al 2000 con l’aiuto di mio marito e del personale. E dopo la sua morte da sola».
E faceva tutto da sola?
«Negli ultimi 6-7 anni e fino all’ultimo giorno la mia vita aveva ritmi incredibili: dal martedì al venerdì sveglia alle 3.30 per andare al Mercato ittico di Rimini e partecipare all’asta delle 4.30, poi alle 8 arrivava il personale e a seconda dei giorni si faceva il banco, si lavava l’automezzo e su richiesta si cuoceva il pesce. Sughi, insalate e brodetti li preparavamo senza ordinazione, mentre il pesce arrosto o al forno si sceglieva dal banco e lo preparavamo per l’ora desiderata. L’unico giorno che ci siamo sempre dati di riposo era la domenica, per mio padre sacra per stare in famiglia: non abbiamo mai lavorato a meno che fosse una vigilia di Natale o un festivo importante».
Quella della pescheria lungo la scalinata è solo l’ultima parte della storia...
«Quanti racconti ho sentito da bambina. Nonna Maria Poletti (classe 1899) e il nonno Giovanni Casadei con il cavallo e il biroccino andavano a far spesa a Cesenatico e poi a vendere per mercati e fiere a Pennabilli, Pugliano, Sarsina, Perticara. Solo che il nonno era amante dei cavalli e comprava quelli più belli da corsa invece che quelli da tiro e in certe strade bianche la nonna raccontava che doveva scendere a spingere perché l’animale non tirava abbastanza. Nel dopoguerra alla pescheria di Santarcangelo i fratelli di mia mamma (Quinto Casadei e la moglie Uliana ed Elvira Casadei con il marito Guerrino) avevano poi un loro banco di pesce crudo a testa, che hanno tenuto fino alla pensione. Una vera famiglia di pescivendoli insomma».
Come è cambiato il lavoro in questi 40 anni?
«Negli ultimi tempi nei giovani c’è più amore per il pesce, magari già pulito o cotto addirittura: una volta una donna stava più in cucina, ora fa mille cose, lavora, va in palestra, porta i figli a far sport e ha meno tempo. Quando sono subentrata a mia mamma, il pesce non lo si puliva e lei quasi mi sgridava quando lo facevo. Oggi invece si cerca così, già pronto da mettere in forno o sulla griglia».
La soddisfazione più bella?
«Il rapporto quotidiano con la gente, con clienti diventati di casa. Di lavoro ce n’era infatti tanto e non ho chiuso perché mancasse. Anzi, avevo tre dipendenti anche se part time. Fra l’altro io e mia sorella abitiamo proprio lì sopra e abbiamo cercato qualcuno che subentrasse con tutte le accortezze del caso. Ma ogni tanto un po’ di magone c’è: ancora oggi dopo 10 giorni ricevo telefonate di prenotazione e quando incontro la gente per strada tutti mi chiedono “perché hai chiuso?” con i goccioloni agli occhi: molti sperano che una delle mie dipendenti riesca ad aprire una sua rosticceria magari con il mio aiuto. Ce n’è una che vorrebbe provare a cercare qualcosa e io sono più che disponibile a darle tutta la mia collaborazione». La storia non è ancora finita?