L’immigrazione che produce: il 12% del Pil regionale arriva dagli stranieri

Rimini

L’altra faccia dell’immigrazione. Quella che fa meno notizia ma produce ricchezza, più o meno il 12% del prodotto interno lordo dell’Emilia Romagna. Lo certifica la Fondazione Leone Moressa di Mestre che ha presentato il rapporto 2018 sull’economia degli stranieri. Il titolo va dritto alla meta: “Prospettive di integrazione in un’Italia che invecchia”.

«Secondo le prospettive nel 2050 la popolazione diminuirà e gli anziani aumenteranno. Se oggi abbiamo un rapporto di due pensionati ogni tre lavoratori arriveremo a uno a uno - ragiona Enrico Di Pasquale, ricercatore della Fondazione veneta -. L’immigrazione non può essere la soluzione del problema: servono misure a sostegno dell’occupazione, dei giovani, delle donne e per favorire la natalità. Ma l’immigrazione può aiutare, questo è fuori discussione”.

I numeri

L’Emilia Romagna è la regione dove l’incidenza degli immigrati sul Pil è maggiore: l’11,9%, superiore anche a Lombardia (10,7%), Lazio (10,1%) e Veneto (9,9%) nonostante i lavoratori stranieri, 258mila, siano inferiori rispetto a quelli occupati negli altri territori (in Lombardia nel 2017 erano 561mila). Una forza produttiva che, in assoluto, vale una fortuna. La Fondazione Moressa ha calcolato che il Pil dell’immigrazione vale in Emilia Romagna 16,4 miliardi di euro (a livello nazionale il totale è di 130,7 miliardi).

Significativo di conseguenza anche l’impatto sul fronte contributivo, nonostante il reddito medio pro capite annuo degli stranieri sia comunque piuttosto basso (14.216 euro): nel 2017 l’incidenza sul totale dei contribuenti è stata del 12,1%.

«Se venissero meno gli immigrati - continua Di Pasquale -, il contraccolpo sarebbe notevole. C’è chi sostiene che gli immigrati tolgono lavoro agli italiani probabilmente perché si considera che gli stranieri occupati sono poco più di 2 milioni e 2 milioni sono anche i disoccupati italiani. Ma bisogna tener conto della geografia innanzi tutto. I primi sono distribuiti soprattutto al nord mentre i secondi sono in buona parte al sud. Poi bisogna considerare le tipologie occupazionali: per gli stranieri sono trasversali e negli impieghi di bassa qualifica. Gli occupati italiani hanno un’istruzione più elevata e ambiscono ovviamente a posti qualitativamente più alti. Se consideriamo questi fattori, la manodopera straniera è complementare a quella italiana. Basta guardare l’agricoltura: abbiamo prevalentemente imprenditori italiani e braccianti stranieri».

L’imprenditoria

Cresce il tasso di imprenditorialità straniera. Secondo l’analisi della Fondazione Moressa in Emilia Romagna, elaborata sui dati di Infocamere, gli imprenditori immigrati sono 62.460 e rappresentano il 9% del totale regionale (l’incidenza è del 9,6%). Nel quinquennio 2012-2017 l’aumento è stato dell’11,9%.

«Questo aumento ha fatto da contraltare al calo degli imprenditori italiani - commenta ancora Di Pasquale -. In questo caso però abbiamo avuto settori dove si è registrato un calo di qualità. Ad esempio il commercio, con la sostituzione di negozi di vicinato con botteghe gestite da stranieri con prodotti meno ricercati, oppure nel capo della manifattura, specie nel settore tessile con la crescita di aziende in particolar modo cinesi, nelle quali la qualità del lavorato non è di alta gamma».

La provenienza

Se si osservano le cifre si intuisce come la percezione dei cittadini sia piuttosto fuori bersaglio.

Al di là del lato quantitativo (536mila il totale dei residenti stranieri in Emilia Romagna, pari al 12%), è errata la considerazione che il volume maggiore di stranieri sia composto dai cosiddetti extracomunitari di origine nordafricana o africana. Il 17% infatti proviene dalla comunitaria Romania, seguita solo all’11,3% dal Marocco e al 10,7% dall’Albania. Il 6,1% di immigrati provengono infine dall’Ucraina e il 5,5% dalla Cina.

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