Crisi del comparto costruzioni, persi 40mila posti di lavoro in Romagna

Rimini

Ben 40mila posti di lavoro sepolti. Sbriciolati come mattoni nel collasso di un intero sistema. «Credo che l’edilizia che avevamo conosciuto, forse anche troppo gonfiata per via della bolla immobiliare, non tornerà mai più. In Emilia Romagna avevano sede grandi imprese, specie cooperative. E su queste era cresciuto un indotto fenomenale. E’ rimasto ben poco. Adesso? Un mezzo far west». Cristina Raghitta, segretario generale della Filca-Cisl Emilia Romagna lascia poco spazio agli equivoci. Dieci anni dopo i primi “botti” che fecero rumore quel che resta dell’edilizia in Emilia Romagna è un settore dimezzato nei numeri e negli occupati, con una pelle diversa: meno monoliti e parcellizzazione imperante. E soprattutto meno limpidezza, con la fantasia di molti piccoli imprenditori che si riflette nell’applicazione dei contratti. «Capita di entrare nei cantieri e di trovare al lavoro su un tetto un operaio assunto con un contratto da florovivaista. Perché? Perché costa molto meno al datore di lavoro», racconta Maurizio Maurizi, segretario della Fillea-Cgil che negli ultimi dieci anni ha assistito al terremoto e alla caduta di decine di imprese. Una lista dei caduti che ha coinvolto quasi tutte le province.

Un patrimonio perduto

Tutte storie molto simili tra loro. Tutte storie di tradizione, ricchezza, risparmio e lavoro andate in fumo. Si parte dalla Coopsette, storica cooperativa rossa delle costruzioni con sede a Castelnovo Sotto, che dopo diversi tentativi di salvataggio è crollata sotto il peso dei debiti, quasi 800 milioni di euro, lasciando a casa circa 350 dipendenti. La Coop Muratori di Reggiolo, che alzò bandiera bianca nella primavera del 2012, prima tra le grandi cooperative di costruzioni. Cmr andò in concordato preventivo con 149 milioni di debiti. Poi la Coop Costruzioni di Bologna, messa in liquidazione coatta a dicembre del 2015 con un “rosso” di 250 milioni e oltre 1,800 creditori. Unieco Reggio Emilia, sopravvissuta a due guerre mondiali ma non alla crisi dell’edilizia: «Non sono più nostre nemmeno le sedie sulle quali siamo seduti, era già tutto dato in pegno alle banche, anche i due palazzi della sede», fu l’annuncio mesto all’assemblea dei soci nel marzo 2017. Nell’estate del 2014 in Romagna si era assistito al botto della Cesi di Imola, affondata sotto i colpi di un passivo che, con le domande tardive ai crediti, era arrivato a 480 milioni di euro. E ancora la Iter di Lugo, altra storica coop del mattone finita nei travagli della crisi edile.

«A questo bisogna aggiungere tutto l’indotto. Chi faceva serramenti, porte, finestre, eccetera. Sono spariti a centinaia. Faccio qualche esempio: Cormo Reggio e Coop Legno che diventarono Openc.o che ora non esiste più, la Lavoranti in legno di Ferrara finita in liquidazione coatta, la 3Elle di Imola finita e per fortuna rinata come 3ElleN dove però da 250 che erano sono rimasti in 60», ragiona ancora Maurizi. Secondo la Fillea-Cgil «all’inizio della crisi più o meno gli addetti certificati dalle casse edili erano circa 75/80mila all’anno. Oggi siamo attorno ai 40mila».

I dati degli ultimi cinque anni confermano lo stato di difficoltà. Le ore mensili denunciate per dipendente in Romagna erano 115 nell’anno 2012/2013. Nel 2017/2018 si è passati a 106. In Emilia da 107 si è scesi a 90. Nello stesso periodo di riferimento le imprese sono scese in Romagna del 21,5%.

“Far west” e prospettive

«Le grandi realtà sono crollate per i cronici ritardi nei pagamenti specie da parte degli enti pubblici - spiega Cristina Raghitta -. Purtroppo abbiamo un sistema creditizio che non fa più credito alle imprese e un sistema pubblico che paga con ritardo. Il crollo delle grandi coop edili ha contribuito al far west del settore che si è creato ora. Queste aziende gestivano il mercato. Oggi non ci sono più. E il paradosso è che ora diciamo che bisogna far partire grandi opere per muovere l’economia ma se questo succedesse non avremmo più imprese italiane che possono fare i lavori...».

L’intero settore sta facendo pace con il fatto che nulla tornerà ai livelli di un tempo, per quanto il mercato fosse dopato. «Non si può più pensare di costruire perché in regione c’è ancora una mole di invenduto nel residenziale che peraltro presenta già caratteristiche obsolete - continua Raghitta -. Per risollevare un po’ il settore bisogna puntare su recupero e riutilizzo delle aree industriali dismesse, la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio, la tutela e la messa in sicurezza del territorio a fronte dei rischi sismici e idrogeologici».

Nel frattempo questi anni di dissesto hanno portato a calpestare le regole mettendo a rischio la legalità. «Possiamo parlare anche di sfruttamento, specie per la manovalanza straniera. Noi scopriamo nei cantieri muratori inquadrati come badanti. Il datore dichiara che il lavoratore lo aiuta in famiglia e quel giorno la famiglia aveva bisogno in cantiere... Questo con la crisi è peggiorato mostruosamente». g.bed.

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