Dopo anni di silenzio il vino di Romagna "vola" all’estero

Forlì

FORLÌ. In proporzione alla superficie, la Romagna esporta di più dell’Emilia, dato che lo scorso anno i vini emiliani sono andati oltre confine per un valore di 170 milioni di euro e quelli romagnoli per 151 milioni. Di certo però i vini romagnoli fanno più quantità ed esprimono un valore minore. Qualcosa negli ultimi anni è migliorato, ma ci sono ancora ampi margini.

Questo uno dei concetti emersi lunedì pomeriggio a Forlì, durante un convegno organizzato da Confagricoltura Forlì-Cesena e Rimini. Relatore principale Denis Pantini, responsabile agroalimentare di Nomisma, che ha presentato il libro “Wine Marketing 2018” su scenari, mercati internazionali e competitività del vino italiano ed emiliano romagnolo.

«Negli ultimi 5 anni - ha affermato Pantini - la Svezia ha incrementato del 182% il valore degli acquisti di bottiglie dalla Romagna e gli Usa del 173%. Seguono Spagna (+ 87%), Cina (+ 86%), Giappone (+ 37%), Regno Unito (+ 23%) e Canada (+ 13%). Le nostre stime evidenziano un export delle cantine della Romagna per circa 151 milioni di euro di vino nel 2017, così distribuito: in Germania il 29,5%, negli Usa il 23%, nel Regno Unito il 10,1% e in Francia il 5,6%. A ruota: Cina (4,3%), Canada (3,8%), Giappone (3,2%) Spagna (3,1%) e Russia (2,3%)».

Nel primo semestre 2018 non mancano andamenti in controtendenza rispetto all’export del vino italiano: crescono del 54% le etichette di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini in Polonia, dove il vino italiano segna un +21%; del + 46% in Svizzera contro il +12% del nazionale; del +31% nel Regno Unito contro una flessione pari al 2% del vino made in Italy. Tuttavia, i balzi in controtendenza si riferiscono ai quei mercati che rappresentano solo il 12% dell’export romagnolo. E appare preoccupante la flessione registrata nell’export verso la Germania (-7%).

«Più della metà dell’export di vino romagnolo finisce in Germania e Stati Uniti, due mercati che attualmente figurano agli antipodi come trend di consumo: mentre i tedeschi stanno rallentando negli acquisti di vini esteri riscoprendo quelli locali, gli Stati Uniti presentano ancora forti potenzialità di crescita, privilegiando vini biologici, da vitigni autoctoni e, in questo particolare momento, sparkling e rosè», ha dichiarato Pantini.

L’evento si è svolto nella sala BCC Ravennate Forlivese e Imolese, organizzato da Confagricoltura in collaborazione con Nomisma, Enoteca Regionale Emilia-Romagna, Consorzio Vini di Romagna, Strada dei vini e dei sapori dei colli di Forlì e Cesena e Banca Credito Cooperativo ravennate, forlivese e imolese.

Dopo la presentazione di Pantini, l’attenzione si è concentrata su una tavola rotonda con Alfeo Martini del Podere dei Nespoli, Simonpietro Felice, direttore Caviro, Maximilian Girardi della Tenuta Diavoletta di Bertinoro, Enrico Drei Donà delle omonime cantine.

«Siamo bravi a produrre - ha esordito Felice - ma nelle esportazioni siamo meno competitivi rispetto ad altri. Dobbiamo percorrere due strade: far conoscere le nostre Denominazioni e imporre dei marchi forti e riconoscibili».

Martini è intervenuto affermando che «siamo il risultato di quello che non abbiamo fatto per 50 anni. Solo negli ultimi 5 anni abbiamo cercato di recuperare il tempo perduto. Non dimentichiamo che 25 anni l’Aima ha distrutto la nostra imprenditorialità agricola. Ad ogni modo, il comparto del vino romagnolo è partito da sottozero e ora siamo presentabili».

Girardi ha fatto presente che tutto ruota attorno alla comunicazione. «Puntiamo molto sull’online, ma per il mercato locale ci affidiamo ancora al cartaceo. Vogliamo farci conoscere anche ai romagnoli, non solo ai turisti che arrivano da fuori. Siamo aperti alle degustazioni e a far conoscere il nostro prodotto a una platea sempre più ampia».

«C’è difficoltà nel piazzare i nostri vini romagnoli - ha affermato Drei Donà - a differenza dei francesi che sanno comunicare bene ciò che fanno. Ma ci basterebbe imparare dai colleghi dell’Alto Adige: il loro sistema è uno schiacciasassi, sono una macchina guerra perché remano tutti nella stessa direzione».

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