I 71 anni di attività della Casa del popolo di Bussecchio

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FORLI'. Era il 27 settembre del 1947 quando nella frazione di Bussecchio, a Forlì, un gruppo di sedici soci diede vita ad un luogo di libera aggregazione e partecipazione democratica, una “Casa del popolo”. Oggi i soci sono quasi 200, di cui gran parte storici. «Mi piace ricordare che siamo nati in contemporanea alla nostra Costituzione, in perfetta assonanza con essa. Scegliendo come intestazione Cooperativa Casa del Lavoratore i nostri fondatori si sono consegnati immediatamente allo spirito dell’articolo 1».

Una scuola di democrazia

Giorgio Barlotti, da un quinquennio presidente della storica cooperativa, ne ripercorre i quasi 71 anni di attività, in cui da un bar-sala da ballo dove ritrovare socialità e libertà sono germinate esperienze aggregative e culturali pionieristiche e di altissimo livello, come il teatro “Il Piccolo”. «Siamo nati anche sull’onda degli avvenimenti che dopo la Seconda guerra mondiale hanno fatto ritrovare al nostro popolo la dimensione della libertà», sottolinea Barlotti. «Ci avevano costretti da anni a dimenticare la convivenza democratica. E così un bar con il bancone di granito, un camerone che era all’occorrenza sala da ballo e sala cinematografica, poi anche un gioco delle bocce e un’arena estiva divennero il ritrovo di una comunità che aveva tanta voglia di vivere e socializzare. Luoghi come la Casa del Lavoratore sono stati occasioni per discutere, proporre, confrontare nuovi contenuti politici, sindacali, sociali per una società che si andava rimodellando».

La storia

La Casa del Lavoratore è negli anni ’50-’70 un luogo in cui si fa politica, in cui durante i frequentatissimi veglioni è di casa l’orchestra di Secondo Casadei, in cui alcuni giovani fondano la compagnia teatrale “Gad Enal Arte e Lavoro”, antesignana della compagnia dialettale “Dla Zercia” ancora oggi operante e apprezzatissima. «Col trascorrere degli anni il fermento dei soci non si attenua. Oggi la Casa del Lavoratore di Bussecchio vive in stretto rapporto con il territorio. «Collaboriamo direttamente con il quartiere, con la scuola elementare, intratteniamo rapporti con l’opera Don Pippo, sosteniamo associazioni ed onlus».

Il cambiamento

Certo, in oltre 70 anni le cose sono molto cambiate. «È lecito chiedersi se strutture come questa offrono ancora un senso alla loro esistenza. Io dico senz’altro di sì, purché si sia disposti ad interpretare questi tempi che procedono sfrenati». È cambiato anche il rapporto fra Peppone e don Camillo. «Quando fu inaugurata questa cooperativa non credo certo che fosse presente un’autorità religiosa –racconta Barlotti–. Diciamo che e’ prit iquè u-n era ad ca, il prete qui non era di casa... Oggi registriamo e accogliamo la presenza del parroco don Carlo, a conferma di quanta acqua sia passata sotto i ponti».

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