Carofiglio, bene e male a braccetto

Rimini

LUGO. Lo scrittore barese Gianrico Carofiglio sarà ospite questa sera del “Caffè letterario” di Lugo, alle ore 21 nella sala conferenze dell’hotel Ala d’oro. Presenterà il suo ultimo, apprezzato romanzo: “Il bordo vertiginoso delle cose”, edito da Rizzoli.

Il libro narra di uno scrittore in crisi, tradito dal successo della sua opera prima e piombato in sorta di apatia esistenziale, che ritorna a Bari, la città dove è nato e cresciuto, dopo essersi casualmente imbattuto in una notizia di cronaca nera che lo riporta con la memoria alla propria problematica adolescenza. Sarà l’occasione per fare i conti con il passato, alla ricerca di un modo per ripartire.

Carofiglio, perché ha scelto questo verso del poeta Robert Browning come titolo del suo romanzo?

«Perché mi sembra sintetizzi in pieno il senso della storia, anzi delle storie raccontate in questo libro. Il bordo vertiginoso delle cose è il confine fra gli opposti: bene e male, successo e fallimento, attrazione per la violenza e passione per le idee. Il romanzo parla di questo confine».

Cosa c’è di autobiografico nelle vicende di Enrico Vallesi, il protagonista del romanzo, che già nel nome di battesimo e nell’età ricorda proprio lei?

«Tutto e niente. La storia non è autobiografica in senso stretto, nel senso che non racconta fatti realmente accaduti. È però, fortemente, un’autobiografia delle emozioni e una sorta di autobiografia generazionale.

La fallacità dei ricordi e la precaria definizione delle propria identità personale sono due dei temi principali che si possono ravvisare nel romanzo: in che rapporto questi fattori stanno tra di loro?

«Molto stretto direi. La nostra identità, il nostro senso del sé, dipendono molto da come siamo capaci di raccontare, innanzitutto a noi stessi, la nostra storia. E dunque da come siamo capaci di ricordarla».

Il libro narra anche della stagione degli estremismi politici: a distanza di 30 e più anni, come giudica quel periodo storico?

«Difficile dare un giudizio su un fenomeno complesso in poche parole. Diciamo che ciò che mi ha sempre turbato è stata la mia incapacità di rispondere alla domanda del perché persone normali, o a volte anche di notevoli qualità, abbiano potuto compiere atti così stupidamente mostruosi».

Nella “parabola” di Enrico Vallesi pare di scorgere anche un senso più generale, che tocca l’uomo e la società dei nostri giorni intensi in senso lato. È cosi?

«È possibile. Ma io sono del parere che queste interpretazioni spettino ai lettori. Il compito dello scrittore è, secondo me, scrivere meglio che può la sua storia, raccontare meglio che può i suoi personaggi».

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