Pellisari, il visionario barocco

Rimini

CESENA. Va in scena al Bonci di Cesena stasera alle 21 uno spettacolo che prova a dare immagine “viva” a suggestioni della Commedia dantesca.

È “Paradiso” di Emiliano Pellisari. È la terza Cantica della trilogia di cui al Bonci nel 2009 si vide “Inferno”. L’invenzione di Pellisari, riminese d’origine, madre forlivese, romano di adozione, è stata di lasciarsi conquistare dalla maestria di ingegneri, architetti, scenotecnici di corte rinascimentale barocca, fautori di grandiosi spettacoli di illusione visiva. Illusioni nate da macchine che Pellisari ha studiato per poi brevettarne di proprie adattandole alle percezioni del pubblico scafato d’oggi.

Né ballerino, né coreografo, studi invece in filosofia, lunga e faticosa gavetta, amante delle arti del palcoscenico e dei mondi sospesi che il teatro può inventare, questo romagnolo a 36 anni trovò la sua strada. Nel 2005 ha costituito una compagnia per creazioni nelle quali i ballerini sembrano volteggiare sospesi, accolte più facilmente all’estero che in Italia. L’originalità del suo teatro consiste nel mettere a punto tecniche visive di fattura artigianale con uso di specchi, elastici, funi, oggetti, capaci di sollecitare suggestioni che si richiamano al nouveau cirque francese e alle figure del teatro nero di Praga. L’artista ne racconta.

Come ha immaginato il suo Paradiso?

«Delle tre Cantiche – risponde Emiliano – il Paradiso è stato il più complicato per la visione di Dante filosofica, concettuale, astratta, teologica, difficile da ricreare con immagini. Per raffigurare il tempo mi sono servito di tessuti, pensando al tempo che copre, che vela. Beatrice è il solo personaggio visibile, circondata da angeli. Usiamo sfere per indicare i pianeti. Le musiche sono contemporanee, sofisticate, adatte al tema raffinato. Credo davvero che questo Paradiso sia il lavoro più bello della trilogia, non cambierei nulla».

Cosa l’ha spinta a dedicarsi a una compagnia di danza?

«Una semplice urgenza artistica. Lasciai la Romagna per Roma a 16 anni, per amore. La passione mi ha spinto al teatro, con una gavetta da organizzatore amministratore. Sono stato premiato anche come autore, ma nessuno produceva i miei testi. Così ho deciso di creare una compagnia rifacendomi a studi sul teatro ellenistico, fantastico rinascimentale, alle invenzioni meccaniche del seicento, scoprendo che erano di origine italiana».

Invenzioni nostrane dimenticate.

«Perché stiamo vivendo un nuovo Medioevo ellenico! Quelle macchinerie erano in voga nelle corti rinascimentali barocche, nelle feste di corte fino a inizio 700, prima del rococò. Mettevano i teatri in competizione come a Venezia, erano un grande business, rappresentavano il cinema dell’epoca e coinvolgevano tanti scenografi. Io mi rifaccio soprattutto a Bernardo Buontalenti di Firenze (1531-1608) architetto, scultore, ingegnere, e all’inglese Inigo Jones (1573-1652)».

La spettacolarità della messa in scena è il suo asso nella manica?

«Viene apprezzata ma noi lavoriamo prevalentemente in Francia. Qua è difficile, le sovvenzioni teatrali hanno dinamiche politico-clientelari, non si basano su logiche culturali né commerciali. Quest’anno il ministero ci ha riconosciuto come compagnia artisticamente valida, ci arriveranno 15mila euro fra due anni. Ben poco su un fatturato di 500mila euro. I teatri come Ert ci pagano dopo molti mesi. Siamo stati ben accolti nel circuito di Aterdanza, ma la crisi si ripercuote anche su di noi. Fortunatamente a febbraio andremo in Francia per due mesi e chiuderemo l’anno in Cina per altri due».

E dopo?

«Sono un padrone di bottega rinascimentale soddisfatto del mio lavoro, ma in dubbio se restare in Italia. Se non avessi una figlia di 3 anni e un’altra in arrivo, me ne sarei già andato».

Ha in programma nuovi lavori?

«Certo; è in cantiere la mia nuova opera del 2015; si chiamerà “Aria, pensata in 13 quadri su altrettanti brani di musica classica; prevede 2 sopranisti, 6 danzatori, 6 musicisti dal vivo che “volano” pure, per un omaggio al barocco italiano ed europeo».

Non potrebbe trovare una motivazione per fermarsi in Italia, magari tornando in Romagna, come maestro artigiano della scena, insegnando a compagnie di danza la tecnica per realizzare spettacoli di suggestioni visive?

«Sinceramente non mi dispiacerebbe insegnare, ma non saprei con chi collaborare, non ho riferimenti e nessuno mi ha cercato, né si è proposto per una cosa simile. Ma, ripeto, sarei disponibile; credo che il mio compito sia anche quello dell’insegnamento, in fondo è naturale per chi fa teatro».

Info: 0547 355959

 

 

 

 

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui