John De Leo e Puglisi: convenzionali, mai

Rimini

LONGIANO. John De Leo cantante e compositore, fa ritorno al Petrella di Longiano a sei anni dal concerto che diede il la al tour del disco Vago svanendo. In questi sei anni di altri dischi non ne sono usciti, ma è in dirittura d’arrivo il nuovo cd. L’artista di Lugo in queste sei stagioni è andato avanti, dedito al percorso di ricerca sonora in cui crede che ha approfondito e affrontato attraverso più modalità. Ultima delle quali (ma non l’ultima), è il sodalizio avviato con Fabrizio Puglisi, musicista bolognese della scena jazz progressive (Deus ex Machina) con cui intesse un dialogo attraverso un nuovo concerto teatrale che andrà pure a Correggio. Il progetto John De Leo e Fabrizio Puglisi Duo, si presenta sul palcoscenico del Petrella sabato 18 gennaio alle 21.

La domanda, forse scontata, è: cosa fate insieme?

«Va precisato – risponde John De Leo – che pure conoscendoci da anni, solo da due collaboriamo in duo. Ciò che stiamo facendo è cosa inconsueta nel mondo dei musicisti jazz di oggi. Al di là di ogni prospettiva, abbiamo cominciato a incontrarci per…. fare le prove».

Cosa ovvia, verrebbe da pensare.

«Ma non lo è; oggi ci si incontra all’ultimo momento, giusto qualche ora prima del concerto, si stabilisce una traccia di un motivo a cui rifarsi e via».

Lascia un segno sul palco questo vostro provare accuratamente?

«È accaduto che il pubblico abbia recepito il concerto come un affronto molto poco consolatorio. Noi ci impegniamo, ci consumiamo per fare sì che accada qualcosa».

Cosa vi lega?

«Entrambi suoniamo in modo non convenzionale. E poi siamo d’accordo nel pensare che non esiste un rumore brutto, di per sé. Ci piace assumerci anche il rischio di metterci in gioco con suoni inconsueti. Ci rimpalliamo l’uno con l’altro, dando vita a un vero e proprio dialogo, a uno scontro, a una diatriba musicale che mi permette di dialogare con lui in altri modi. Non sappiamo cosa troveremo, vogliamo sorprenderci in modo inaspettato. Auspico che il pubblico possa perdersi in questo gioco».

Come procedete sul palco?

«Partiamo da canzoni, da standard convenzionali, usati come canovacci, nei quali inseriamo i nostri suoni. Suoni che vogliono rappresentare le parole; sono convinto che suoni e musica possano raccontare più delle parole».

Sei anni fa per “Vago svanendo tour” aveva la band; ora si limita a un duo. Cosa cambia?

«Cambia molto. Il concerto in duo è più semplice in apparenza, più complicato nella sostanza. Perché in un brano a più strumenti, se hai buoni arrangiamenti, ti puoi appoggiare o anche toglierti, se c’è una regia, qualcuno che suona per te. In duo c’è la necessità di tenere alta la tensione, è più complicato ma è anche più stimolante lo scontro, alla ricerca di un arrangiamento più complesso. Insomma, in due ci si deve fare in quattro».

Ha un titolo questo concerto?

«Non ancora, ma raccogliamo proposte, anche in virtù di registrare un disco insieme, Puglisi e io nell’arco del 2014. Per ora però, sono preso dal mio disco; dopo sei anni, dovrebbe uscire entro due mesi».

Come sarà?

«Sarà un disco di canzoni e composizioni sperimentali. Se fosse un ellepì, avrebbe un lato A cantautorale e un lato B compositivo strumentale. Vi collaborano alcuni compagni di viaggio quali Dario Giovannini, Fabrizio Tarroni, Franco Naddei manipolatore del suono, una sezione fiati improbabile con due clarinetto basso e due nuove leve del jazz quali Beppe Scardino e Piero Bittolo Bon».

Come le sembra la scena musicale del momento?

«Noto che i progetti che più funzionano, anche in ambiti prestigiosi di musica classica e jazz, devono corrompere il linguaggio con qualcosa di vagamente consolatorio e anche commerciale. Cosa che riguarda anche i grandi nomi».

Perché rifugge dal consolatorio?

«Forse perché tutto è sempre più consolatorio, ammiccante, ed è questo che forgia la cultura. Anch’io voglio essere consolato ma…visto che di consolazione ce n’è già tanta in giro, provo a rischiare con qualcosa, magari anche brutto, ma che abbia un carattere».

Il 2014 segna il suo primo decennio da “single” nel senso di lontano dai Quintorigo. Cosa ha scoperto in questi due lustri?

«Ho scoperto che ho ancora tante cose da imparare, sempre di più. Ho imparato che è importante avere le orecchie aperte per ascoltare altre musiche e non solo musiche. Il teatro ad esempio è una dimensione che mi ha sempre interessato, che ha dato una direzione alla mia musica. Anche le letture possono consigliare musiche. Ho appena acquistato libri sulla storia della massoneria per scoprirne i “suoni” nascosti e insidiosi».

Di lei si dice che ha un carattere difficile, più propenso al solo che al gruppo. È così?

«In realtà il mio obiettivo è di essere normale. Mi piace lavorare con gli altri e non sono mai sicuro. Sento piuttosto la responsabilità, ma senza gli altri non esisterei. Non è vero che amo lavorare da solo; certo che se il progetto è mio, voglio dirigerlo in tutto; quando però entro nel progetto di altri come con Roberto Gatto e Petrella, mi sento realizzato quando il mio suono è al servizio di quel progetto».

 

Info: 393 3129265 Biglietti euro 15-12

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui